(Jolly Roger Records) All’epoca di “Litanies From The Woods” (2015, recensione qui) i Witchwood rappresentarono una specie di rivoluzione pur rimanendo estremamente e liturgicamente tradizionali. Scrissero quasi due ore di musica e pubblicarono un disco ‘ridotto’ a ‘soli’ 78 minuti. Questo “Handful of Stars” ribadisce i concetti … ovviamente a modo loro. Se da un punto di vista compositivo c’è una palese riduzione rispetto al debutto visto che questo lavoro dura ‘solo’ tre quarti d’ora contenendo pure due cover (forse è il pre-riscaldamento del nuovo ottimo chitarrista?), dal punto di vista emozionale l’ascoltatore viene travolto da un’ondata sonora, uno tsunami di melodie che non lascia scampo, non offre via di fuga. Cose non banali, considerando che mentre scrivo queste parole ho in cuffia questa parentesi di carriera, questo riempitivo tra due full-length… ovvero un ‘solo’ EP. Un EP che dura come un album medio della produzione rock odierna, tanto per farvi un’idea di cosa abbiano in testa questi sei personaggi! L’insieme degli strumenti è rodato ed infinitamente creativo… non ci sono prime donne, tranne la musica, la grande madre… una statua immensa che viene scolpita fin nel dettaglio con maestria da ogni strumento, compreso il meraviglioso flauto e gli intramontabili Hammond e Moog. L’introduzione (un minuto) è musica di un livello tale che farebbe impallidire moltissime band rock anche impegnate in stili comunemente definiti progressivi o tecnici. Ma per i Witchwood è solo un intro dovuto per una release che è solo un ‘fugace’ EP. “Like A Giant In A Cage“ è superba da subito, con quell’ironico flauto che si infila tra vocals possenti, riff tuonanti e keys che sono una macchina del tempo che trascina con forza nel bel mezzo degli anni ’70. E se davvero amate il sound di quegli anni, vi verrà la pelle d’oca fin dall’inizio di “A Grave Is The River”, dove Olivi con i suoi tasti ipnotizza e seduce aprendo la strada per una esplosione musicale (non sonora… sarebbe riduttivo in questo caso) con un crescendo unico ed un’esaltazione costellata di fraseggi (chitarra, flauto, basso, batteria… tutti!!!) che danno il benvenuto a Ricky, il quale offre una performance vocale di prim’ordine con un testo tetro e provocante (guardatevi il video qui sotto!). Struggente “Mother”… un testo profondo con significati esaltati da musicisti carismatici capaci di parlare, sussurrare, raccontare senza le parole, solo gli strumenti. Godibilissime le due cover “Flaming Telepaths” (Blue Öyster Cult) e “Rainbow Demon” (Uriah Heep), entrambe rese molto personali, più heavy, con lo stile ormai inconfondibile dei Witchwood, specialmente dal punto di vista della voce. Per chiudere, e probabilmente per puro divertimento, il sestetto di Faenza prende “Handful Of Stars” una propria canzone tratta da “Litanies…” e la espande dando vita ad una versione alternativa che accresce la durata di questo orgasmo sonoro vintage-futuristico dai ben 10 agli oltre 12 minuti, facendo capire che la versione ‘originale’ aveva altro da dire, e forse fu tagliata a livello discografico perché forse non c’era più spazio! I Witchwood sono degli stregoni. Non recitano la parte, non fanno il loro lavoro. Sono degli esaltati di qualche estremismo religioso venerante una Dea che domina un Pantheon costruito per emozionare e far battere il cuore. Loro non suonano. Loro celebrano. Celebrano un rituale mistico. E vi invitano ad adorare l’unica vera Dea. La musica.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10