(Nuclear Blast/Audioglobe) Incredibile ma vero, l’attesa è finita: dopo OTTO anni, i Wintersun di Jari Mäenpää hanno dato un seguito al debut omonimo, un disco, è doveroso dirlo, che per molti (fra cui il sottoscritto) aveva davvero aperto le porte a un nuovo modo di suonare metal, in una allora inimmaginabile mescolanza di power, death e (nonostante molti lo neghino) epic metal che non aveva eguali. Otto anni sono tanti, il mercato cambia: all’esperienza musicale dei Wintersun sono intanto andate vicine altre band (mi vengono in mente, fatte le dovute differenze, i Portal of I), e i finlandesi dovevano assolutamente confermarsi come maestri di questo ‘genere’ che forse non esiste, ma che sono stati sicuramente loro a creare. Otto anni di attesa e… solo mezzo disco! L’originario progetto di “Time” è stato infatti furbamente diviso in due parti e ora, dopo tutto questo tempo, ci becchiamo soltanto 40 minuti e 9 secondi di musica, con l’annuncio che dovranno passare almeno altri dieci mesi per vedere la seconda metà. Una operazione onestamente incommentabile che costituisce un pregiudizio molto forte all’ascolto, pregiudizio che può passare in secondo piano soltanto se questi 40 minuti e 9 secondi saranno davvero fantastici… e per fortuna lo sono. Dopo la lunga intro dai toni orientali (!) “When Time fades away”, “Sons of Winter and Stars” costituisce da sola quasi un terzo del platter, superando abbondantemente i 13 minuti: le caratteristiche fondamentali del sound sono rimaste invariate, anche se si può chiaramente notare l’apparizione di momenti da soundtrack e un certo gusto, che definirei vagamente prog, per il cambio di atmosfere (d’altronde irrinunciabile in un brano così lungo). Se l’effetto che si voleva raggiungere era quello di avvolgere completamente l’ascoltatore, è perfettamente riuscito: “Sons…” è un mare in tempesta nel quale chiudere gli occhi per lasciarsi sbalzare dalle onde, godendosi le potenti e drammatiche orchestrazioni, in un variare continuo di sensazioni e impressioni. Assolutamente un capolavoro. “Land of Snow and Sorrow” va invece verso la direzione musicale del debut: lenta, epica, maestosa e fredda come l’inverno finlandese. Dopo il breve intermezzo (con suoni prevalentemente elettronici) “Darkness and Frost” siamo già alla conclusiva “Time”, che sfiora i 12 minuti: un ritmo incalzante, stentoreo, avvolgente, con sprazzi melodici che per contrasto appaiono decisamente struggenti, nel trionfo del ghiaccio eterno e con l’eterna ansia per il tempo che, senza pietà, fugge via. Un disco da assimilare (due o tre ascolti non vi basteranno per farlo vostro), ma che si candida, furbate commerciali a parte, a diventare quando sarà completo un assoluto masterpiece.

(Renato de Filippis) Voto: 8/10