(AFM) Ho raccontato la storia dei Bloodbound recensendo il precedente album “War of Dragons”, di due anni fa: gli svedesi si sono dimostrati in questi anni dei trasformisti niente male, sempre pronti ad andare nella direzione più interessante del mercato. L’ottavo disco ce li mostra pressappoco dove li avevamo lasciati: power metal boombastico, citazionista, semplice da fruire. Se penso che questi ragazzi agli esordi avevano osato – e con ottimi risultati! – mischiare power, horror e NWOBHM il paragone viene su impietoso, ma preso per quello che è “Rise of the Dragon Empire” si difende più che bene. Si comincia subito con la titletrack, dotata di melodie luminose e rotonde, con un gradevole crescendo nel refrain; anche “Slayer of Kings” ha quelle strutture ritmate e folk che ai più anziani ricorderanno i Running Wild e ai più giovani gli Orden Ogan. Trionfalmente alla Sabaton, anche per le tastiere in sottofondo, “Skyriders and Stormbringers”, e trionfalmente piratesca, invece, “Blackwater Bay”, con aperture quasi alla Freedom Call. Arrembante “Giants of Heaven”, mentre “The Warlock’s Trail” semplifica forse un po’ troppo le strutture folk del songwriting. Si torna a un ‘sabatonismo’ forse eccessivo con “Breaking the Beast”, cristallina invece “Balerion”; è un ottimo preludio per la trionfale e conclusiva power ballad “Reign of Fire”, che ci riporta in un ambiente folk dove i vicini di casa sono gli Iron Mask da una parte e gli Avantasia dall’altra. Può bastare? Certamente; ma questa formazione prometteva ben altro.

(René Urkus) Voto: 7/10