(Indie Recordings) Tutto decade. Ogni sentiero discende verso il nulla dell’eternità infernale. Non ci sono speranze. Disturbi psicologici che disorientano la mente: Solitudine… l’unico amico del quale puoi fidarti è… forse… te stesso. Amori che ambiscono al futuro condannati da una società che annebbia, opprime e sopprime. E come se tutto non andasse già a rotoli, arriva quel dannato inverno nucleare, generato dall’ignoranza cieca, dall’assurda essenza umana, dall’odio reciproco e da un grandioso piano malvagio con il quale Satana ci conduce alla fine assoluta, anticipata solo da una tremenda presa di coscienza nella quale ci si rende conto che le acque sono diventate veleno imbevibile, il cibo è ormai finito, i raccolti sono solo cenere, le stagioni sono oscurate e la vita sta morendo. Non c’è più alcun posto che può essere chiamato casa, semplicemente la fine della speranza toglie irrimediabilmente ogni spazio all’esistenza umana: questa apocalittica ma verosimile previsione del futuro della nostra specie e del nostro pianeta è, tuttavia, ritratta con lacerante e nevrotica ironia nel quarto album dei maschi alfa svedesi, i quali ancora una volta regalano al mondo musica elettrizzante, palesemente schizoide, nuovamente dispersa in quel rock, quel metal, quel black, quel rap, quel mix assurdo ed unico che continua a ricordarmi una versione post atomica, post mortem e tossicomane dei Beastie Boys. Ogni canzone è pura energia: i brani, per quanto farciti con testi ironicamente mortali e pregni di senso catastrofico, sono sempre vibranti, nervosi, eccitanti; anche quando la melodia si fa più introspettiva e decadente, le pulsazioni scatenate continuano a dimostrare una grande fretta neuronale chimicamente indotta, una certa irrequietudine, un marcato nervosismo. Non c’è pace: gli Alfahanne sono un prodotto dell’instabilità malata del mondo, una instabilità che la loro stessa musica esalta, supporta ed alimenta… o che semplicemente descrive in maniera poeticamente superlativa. Potente ed arricchita dalle linee vocali dell’ospite Hoest (Taake) la title track (recensione del singolo qui): si nota che il mix dell’album è molto animalesco, molto carnale, estremamente diretto e ricco di linee di basso identificative e magicamente superbe. Romanticamente drammatica “Lovers Against The World”, altro brano con un basso intenso che sa erigersi su chitarre rock ed un piano che accenta con provocante delizia il groove della canzone, dando origine ad un qualcosa che abbraccia decine di stili e decenni di generi musicali diversi. Schizofrenia al massimo su “Alla Mot Alla” (‘Tutti contro tutti’), brano che vede il duetto tra il pazzoide vocalist Pehr Skjoldhammer ed il guest Nag (Tsjuder), il tutto su un tappeto ritmico pericolosamente pungente. Magnetica la malinconia della stupenda “A Place To Call Home (Ärla Boggie)”, un brano che alterna chitarra acustica a tremolo di stampo black, sempre con una maledetta sezione ritmica dall’influenza irresistibile. Geniale la commedia tragica dipinta da “Sluten Cirkel” (‘Cerchio chiuso’), altra genialità evidente fin dal titolo con “Sakna Mig Som Om Jag Var Död” (‘Ti mancherò come se fossi morto’). Ancora apocalisse epica con interessanti inserti corali su “The Heavy Burden”, tracce di speranza su “Himlen Kan Vänta” (‘Il paradiso può aspettare), tra ribellione e condanna con la favolosa intensità della conclusiva “En Tight Knut” (‘Un nodo stretto’). C’è musica che esalta la fine, la tragedia, la dannazione, l’oscurità perenne, abbracciando un lato oscuro letale anziché contrastarlo o offenderlo. Poi c’è musica che osanna l’amore, il bene, la bellezza del mondo, assurdamente ignorando la verità, il fatto che tutto questo sta per finire presto. Poi ci sono gli Alfahanne: la loro musica ritrae e dipinge il catastrofico disastro che stiamo velocemente concretizzando, ma lo fa con colori accesi, pennellate irregolari che danno luogo ad un cubismo degenerato su una tela sporca retta in precario equilibrio da un cavalletto instabile; una caricatura grottesca del disastro del quale siamo gli artefici, uno scherno bizzarro, una presa in giro universale, una satira tagliente, una beffa canzonatoria. Dopotutto, se l’unica cosa che sappiamo molto bene è fare porre fine alla nostra stessa esistenza, tanto vale riderci sopra, a crepapelle, in quanto, dobbiamo ammetterlo, questa cosa è l’apoteosi e l’opera omnia del freak show più osceno e crudele che si sia mai visto in giro!

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10