copautopsy2(Peaceville Records) Il tempo di assimilare e vivere pienamente “Macabre Eternal” e due anni dopo ecco che gli Autopsy, tra le migliori celebrità di sempre del death metal, sfornano un nuovo album. L’attimo in cui l’opener “Slaughter at Beast House” inizia da immediatamente la certezza che a suonare sono gli Autopsy, ma nello scorrere del pezzo poi accade qualcosa che cambia parzialmente i connotati di sempre. Infatti “The Headless Ritual” presenta delle inaspettate novità e cambi di rotta e dunque entrano in gioco inserzione e soluzioni sostanzialmente atipiche. Spuntano diversi rallentamenti che tutto sommato si dirigono verso un filone doom metal; soluzioni che sovvertono i normali schemi della band e aprono scenari melodici nuovi e imprevisti. Proprio nel già citato brano d’apertura, la fase centrale di questi oltre 6’ riprende il più classico doom e tanto da capovolgere l’iniziale death metal spinto e sostenuto, ma ruvido. Le melodie vengono piallate, aggiustate, rese morbide; tutto questo si ripete altrove eppure non occorre solo attendere le situazioni funeree per trovare delle diversità, infatti il death metal di sempre degli Autopsy ha si quel qualcosa di datato dei primordi, ma anche cadenze vicine a cose death/black ‘n roll. Tra reminiscenze alla Black Sabbath, cose alla Candlemass, ma anche Venom e l’indole arcaica di sempre, ecco che gli Autopsy tirano fuori qualcosa di nuovo per se stessi, senza inventarsi nulla e senza far gridare al miracolo, ma solo proponendosi con aggiustamento nell’architettura sonora. “Thorns and Ashes” ad esempio è un pezzo che poggia su un refrain oscuro e barocco insieme, si ripete costantemente, finisce in polifonia e bordate di accordi scandiscono una sorta di tappeto drammatico sul quale la voce gorgoglia malvagia, creando così un brano assolutamente old style e con atmosfera d’effetto. Inoltre, proprio sul discorso old style, mi sembra che Reifert, Cutler, Coralles e Allen si siano maggiormente protesi in alcuni riff dal tono classico e sia più tipicamente derivati dall’heavy metal (vedi l’assolo di “Running from the Goathead”) o comunque dalle radici del death metal. “The Headless Ritual” è l’album per gli amanti delle sonorità di un tempo, è l’essenza di un sound stagionato ma aggiustato e che non puzza sfacciatamente di vecchio. In fin dei conti questa è gente che ha più di 40 anni e questo lavoro conferma il fatto che siano colonne del genere.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10