Ester SegarraForti di un decimo album capace di ridefinire ogni loro coordinata sonora precedente, i Katatonia sembrano essere ormai da anni in uno stato di grazia, soprattutto in termini qualitativi. Ecco quindi l’occasione giusta per fare quattro chiacchiere, non solo riguardanti l’ultimo album… Risponde Daniel Moilanen, il batterista. (read it in English)

MH: Ciao da Metalhead.it! Veniamo subito al dunque: il vostro decimo album, “The Fall Of Hearts” si appresta a diventare uno degli album cardine della vostra discografia. Il risultato finale risulta fresco e inedito, anche dopo molti ascolti… era il vostro obiettivo fin dall’inizio il fatto che l’album dovesse suonare così?
DM: Ciao e grazie per le tue parole. Per andare dritto al sodo, direi che “The Fall Of Hearts” è già un disco essenziale della nostra discografia. Se per obiettivo intendi un disco fresco e con una nuova aura, allora direi che era proprio quello l’obiettivo. La progressione dei Katatonia da “Dead End Kings” a “The Fall Of Hearts” è stata naturale come la progressione da “Brave Murder Day” a “Discouraged Ones” e la cosa è ancora più visibile se pensi a “Dethroned & Uncrowned” e “Sanctitude”.

MH: Molti, mettendo a confronto il vostro ultimo lavoro con “Dance Of December Souls”, potrebbero storcere il naso vista la differenza molto marcata di stile… Ma a mio avviso, così come ho sottolineato nella recensione del vostro ultimo lavoro, i vostri album sono tutti legati da quello che sembra un unico grande disegno, una sorta di compendio delle emozioni umane…
DM: Un commento molto acuto, grazie. Non ho mai pensato ai Katatonia come una band definita da generi, piuttosto una band che definisce i generi. Magari quando guardo indietro a quando ho sentito “Dance of December Souls” per la prima volta, pensai ai Katatonia come una specie di band black metal, ma se guardiamo ad oggi vedo una band che è sempre stata dedita a quel dark progressive che ci distingue oggigiorno. Tutto cambia con gli anni… la conoscenza degli strumenti, l’ispirazione, il tempo, l’età. Tutto questo porta a differenti visioni della musica, dei testi e magari anche del genere, ma io ho solo visto una progressione naturale che tutt’ora contiene l’essenza ella band. C’è una grossa differenza tra il primo album e l’ultimo, però se ti immergi nei testi, nell’animo e nelle emozioni del suono, le differenze diventano più sottili. E poi con i temi ricorrenti a proposito di umore ed emozioni c’è sicuramente la costruzione di un compendio. Una specie di libro nero. Tutto ciò che è grandioso è costruito sulla tristezza.

MH: Se quindi volessimo paragonare i vostri album alle emozioni umane, a che emozioni assocereste il vostro ultimo lavoro?
DM: Per la mia personale interpretazione di “The Fall of Hearts” , io finisco sempre per focalizzarmi su perdita e morte. Ho notato che molta gente ci sente una vibrazione di speranza con questo disco. Magari è nei riff, magari nei testi, non lo so. Ma non posso pensare che si sbagliano, come potrei? Credo che il lato oscuro delle emozioni umane con il quale i Katatonia hanno avuto a che fare nel passato, è oggi approcciato con più sfumatura, ma io comunque non ci vedo nulla che assomiglia alla speranza in questo album. Ma magari sono solo io.

MH: Sempre parlando del vostro ultimo lavoro, azzarderei che “The Fall of Hearts” sia il vostro disco Rock… Azzardato?
DM: Non sbagli di molto, assolutamente. Poi io penso che tutti i dischi di Katatonia siano dischi “rock” con un diverso approccio musicale, quindi capisco il tuo punto di vista. Magari questo è il disco “meno” metal che la band abbia mai fatto, compresi i dischi “non-metal”. Ma allo stesso tempo questo è il disco che più include i tipici dettagli “metal” dello spettro rock, con doppia cassa veloce, linee di chitarra micidiali, riff intricati e cose del genere. Rock estremo, forse.

MH: Ho avuto la fortuna di vedervi in chiave live nel 2006 per il tour di “The Great Cold Distance”. In quella serata il cantante aveva la felpa dei Tool. Me lo ricordo per due motivi, ossia il mio amore per il gruppo americano ma soprattutto perché ho sempre rintracciato delle sonorità simili tra i due gruppi. Mi sbaglio o siete consci di questo parallelismo?
DM: Ne siamo molto consapevoli. In alcuni casi è una influenza apparente nei riff, in altri casi è l’approccio alla struttura della canzone e delle ritmiche. I Tool sono sempre stati una band molto interessante in questo aspetto, suonano con cambi di tempo, spostamento ritmico e melodie in ostinato (figura musicale ripetuta ad oltranza senza modificarne altezza e ritmo, ndr). Ovviamente è qualcosa che influenza ma anche impossibile da ricreare senza copiare. Proprio come i Katatonia, forse.

MH: Molti fans sperano in un ritorno alle origini, magari con cantato in growl e via dicendo; altri invece, come il sottoscritto, pensano che la musica estrema non sia equivalente a suoni estremi e che quindi in parte siete rimasti comunque fautori di musica estrema… Voi come la pensate a riguardo?
DM: Sono d’accordo. La musica estrema non è estrema solo con il pesante o l’extra veloce, o con una distorsione estrema. Naturalmente, la maggior parte dei dischi che io giudico estremi sono album metal ed io stesso vengo da quel background. Ma io reputo estremo anche dell’ambient minimale tanto quanto del Japanoise (noise music Giapponese, ndr) il quale può essere tanto estremo quanto dei cantanti dark country. Non è tutto ridotto al suono o al genere musicale e non è una competizione.

MH: Ho visto che avete aderito, nel 2014, al Record Store Day con un vinile pieno di rarità e b side… Cosa ne pensate di queste giornate dedicate alla musica? Credete ancora nel formato fisico della musica? A giudicare dalle vostre ultime uscite, sempre presenti anche nel formato a 33 rpm, tenete ancora al disco inteso come fisico…
DM: Personalmente credo molto nel media fisico ma sono anche molto digitale. Quasi tutta la mia musica la consumo digitalmente in questo momento, ma comunque compro ancora supporti fisici a cadenza settimanale. Supporto gli artisti anche comprando pubblicazioni digitali piuttosto che scaricare illegalmente, e sono ovviamente su Spotify ogni giorno. La cosa non è contraddittoria come sembrerebbe. Per quanto riguarda il Record Store Day e quel tipo di iniziative… beh, è una cosa buona, o lo era agli inizi. Ma ora le etichette più piccole vengono ignorate dagli impianti di produzione in quanto le major devono stampare riedizioni di dischi che trovi ancora in giro a pochi soldi, ma ora te le fanno “vinile 180g con le note di tizio”. A ciascuno il suo, credo, ma io preferirei quel genere di visibilità per una band rock indie locale piuttosto che per la colonna sonora del film “Ragazze a Beverly Hills” (titolo originale “Clueless”, ndr). Magari voglio ancora che quella colonna sonora sia pubblicata, ma magari un altro giorno.

MH: Cambiamo argomento. Sulla scia di My Dying Bride (progetto Evinta) e Anathema (concerto “A Sort Of Homecoming”) e del vostro stesso “Sanctitude”, pensate che in un futuro potrete spingervi ancora più in là, magari con una vera e propria orchestra alle spalle?
DM: Credo che potremo. Mi piacerebbe fare di nuovo un progetto tipo “Sanctitude”, ma magari con un approccio diverso. Questo autunno faremo due show speciali suonando tutto “The Great Cold Distance” per il decimo anniversario, ed il primo di questi spettacoli sarà con la Plovdiv Philharmonic Orchestra. Non è il tipo di cosa che penso tu stia sottintendendo, ma è comunque un modo diverso di esprimere un album con quella magnitudine e quel suono. Mi piacerebbe lavorare di nuovo con una orchestra ma non in quel modo. Il nostro sound è sufficientemente sfaccettato da poter funzionare in diverse impostazioni musicali ma non credo sia da dover rifare la stessa cosa in continuazione.

Ester Segarra

MH: A tal proposito, potreste dirmi di più sul disco “Dethroned And Uncrowned” (il penultimo album in versione strumentale, ndr)? Come mai una scelta così singolare?
DM: Parlando di suoni sfaccettati, “Dead End Kings” era molto avanti in questo aspetto, indipendentemente da come uno possa trovarlo mono-dimensionale. Quell’album è stato costruito con tanta di quella farina nel sacco che tenere tutto sotto la struttura heavy di “Dead End Kings” risulterebbe restrittivo. Apparentemente tutto il disco conteneva più di un solo album. Serve gente speciale con talenti speciali nel songwriting per realizzare una cosa simile, credo.

MH: Ascoltate musica durante le vostre giornate? Se si, quali generi ascoltate?
DM: Ascolto musica tutti i giorni. In periodi, come ora, con tutte le prove per i concerti ed i tour c’è molto Katatonia nelle mie orecchie. A parte questo, ascolto di tutto. Mi piace la musica classica e corale, il jazz moderno e pure la così detta “musica estrema”, ma in oggigiorno è quasi sempre Paramore. E Katatonia.

MH: Nel comporre i vostri album, pensi che il vostro bellissimo paese di origine vi abbia influenzato nella vostra musica?
DM: In un certo senso si. Se guardi i lavori dei compositori Svedesi come Alfvén, Stenhammar e Olsson e li compari alla musica moderna, in tutti i generi, da Landberk e Dissection a Adolphson-Falk risulta che ci sia qualcosa nel sound che è nativo di questo paese e della sua natura. Naturalmente l’intera scena musicale è in pesante “debito” verso tutte le scuole di musica municipali ed i centri giovanili, tutti ambienti che abbiamo avuto la fortuna di frequentare durante la nostra gioventù. Ma il songwriting, credo che venga da qualcosa che è nei fiordi.

MH: Ok, siamo alla fine dell’intervista. Un grazie alla vostra disponibilità. Speriamo di rivedervi presto in italia!
DM: Grazie per questa intervista acuta ed interessante! E si, torneremo in Italia nuovamente ad Ottobre. Spero di vedere tutti i fans italiani in prima fila. Cercate un modo per fare stagediving! “Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio”. (questa ultima frase Daniel l’ha detta in Italiano, ndr)

(Enrico Burzum Pauletto)