copmetallica(Blackened Recordings) Dovrebbero proibire le recensioni di album ad opera di gruppi quali Metallica, Megadeth, Manowar e Iron Maiden. Il motivo è presto detto: hanno dato talmente tanto alla musica che anche se non producessero nulla da qui all’estinzione della razza umana il debito che abbiamo con loro non si esaurirebbe comunque. Ma tant’è che a volte il recensore ha uno sporco lavoro tra le mani e qualcuno lo deve pure fare. E le premesse perché questa potesse essere la peggiore recensione del secolo c’erano tutte: odio il Black Album, odio il commerciale nel senso lato del termine, odio chi perde tempo a far guerra a Napster per poi riappacificarsi quando le vendite calano ma soprattutto odio chi non ha ispirazione. Quindi è normale partissi prevenuto nei confronti di un album uscito a 8 anni di distanza da “Death Magnetic” e che nessuno aveva chiesto. Ma dalla quantità di condizionali che ho usato si può intuire che qualcosa è cambiato nelle mie idee. Spazziamo ogni dubbio: il nuovo lavoro dei Metallica è il migliore dai tempi del Black Album, Black Album compreso. Un’analisi delle singole tracce è inutile. Vi basti sapere che qui troverete per più della metà delle tracce proposte del sano Thrash, suonato da dio, ispirato e all’altezza del nome di chi ha scritto i brani. La registrazione è forse troppo incentrata sulla batteria ma che ci volete fare, tutto sommato è sempre stato così con loro. Il basso si sente pochetto, ma penso sia per rispetto per Cliff… o almeno lo spero. Infine, il cantante risente degli anni più di quanto non voglia ammettere, ma solo nel cantato. Resta di fatto a mio parere la migliore chitarra d’accompagnamento della storia del Metal. Alcuni brani sono davvero degni di nota, come le due tracce d’apertura e “Moth…”, quanto di più ispirato abbiano composto i quattro da almeno due decadi, altre canzoni ahimè sanno tanto di riempitivo. Le avrei personalmente inserite in un unico disco di b-sides. Ma diamine, alcuni pezzi spaccano come negli anni d’oro. Che i Metallica non dovessero dimostrare nulla a nessuno era fuori di ogni dubbio, ma qualcosa ci hanno dimostrato. Ossia che sanno ancora comporre bellissimi brani. Odio essere smentito. Quindi odio i Metallica.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8,5/10

(Blackened Recordings) Non è mai semplice recensire un album dei Metallica. Poche bands hanno diviso nettamente i pareri dei metalheads come i quattro cavalieri di Frisco. Soprattutto dal 1991, anno di uscita del multi platinato “Metallica” (“Black Album”), l’audience è quantomai divisa tra coloro che vedono i Metallica come dei traditori e venduti e coloro che invece ne hanno apprezzato l’evoluzione. Personalmente, io mi colloco nel mezzo. Da amante del thrash metal, trovo i primi quattro album delle pietre miliari, però ammiro il coraggio dimostrato nel mettersi in discussione. Prima del 1991, nessuno poteva immaginare un successo simile, il rischio era quello di trovarsi nel limbo, ripudiati dai thrashers per l’ammorbidimento sonoro e dal mainstream perché troppo legati al metal, a cominciare dal nome. Hanno rischiato ed hanno vinto, ma nonostante ciò hanno continuato a rimettersi in discussione, con i controversi “Load” e “Reload”, albums totalmente lontani dal thrash furioso degli esordi, ma anche dal Black Album, quando bastava prendere gli scarti di quel disco per garantirsi il successo facile. “St. Anger” si rivela un altro rischio, con canzoni non sempre riuscite e penalizzate da una produzione penosa, prima di tornare su territori più congeniali ai Metallica, con un recupero delle sonorità thrash alla “… And Justice For All”. Mi approccio a questo “Hardwired… To Self Destruct” con curiosità, suscitata anche dai buoni singoli estratti circolati in rete. Uno di questi, “Hardwired”, apre l’album nel miglior modo possibile, con il suo thrash terremotante, vicino a certe cose di “Death Magnetic”, ma valorizzato da una produzione decisamente migliore, anche se va detto che il suono del rullante del megalomane Lars Ulrich è fin troppo invadente. “Atlas, Rise!” è un pezzo decisamente ispirato, che pesca dalla NWOBHM, con chitarre armonizzate che richiamano da vicino gli Iron Maiden. “Now That We’re Dead” parte con un riffone alla Judas Priest di “You’ve Got Another Thing Coming”, per svilupparsi in un mid tempo cadenzato ed un cantato accattivante, mentre gli assoli sono nuovamente armonizzati. “Moth Into Flame” è l’altro singolo uscito. Il brano lo considero davvero buono sotto il profilo musicale, ben costruito ed aggressivo, mentre fatico a digerire il ritornello, sicuramente accattivante, tanto che mi ritrovo a canticchiarlo spesso, ma fin troppo ruffiano e stucchevole. “Dream No More” è a mio avviso il pezzo migliore del lotto, con ritmiche plumbee che richiamano “The Thing That Should Not Be” ma con linee vocali stilisticamente vicine agli Alice In Chains. “Halo On Fire”, nei suoi oltre otto minuti di durata, racchiude un po’ tutte le caratteristiche dei pezzi sentiti fino ad ora, anche se la lunga durata rende il brano un po’ prolisso. La prima metà del disco si chiude comunque bene, con pezzi eclettici che riassumono le varie sfaccettature del sound dei nostri. Il secondo disco si apre con “Confusion”, altro pezzo dalle ritmiche potenti e rallentate, con un buon refrain, anche se la lunga durata delle canzoni si fa via via sentire. “Manunkind” parte con un arpeggio di basso e melodie di chitarra maideniane, per svilupparsi poi in un’altra ritmica pachidermica e piuttosto noiosa. Lo stesso discorso vale per “Here Comes Revenge”, parzialmente salvata da un buon ritornello, e per “Am I Savage”. “Murder One”, pur non passando alla storia come un capolavoro, si fa ascoltare volentieri, aiutata anche dal fatto emotivo di essere dedicata a Lemmy. “Spit Out The Bone” chiude l’album nel migliore dei modi, riconsegnandoci i Metallica dei tempi che furono con il loro thrash metal furioso alla “Dyers Eve”. “Hardwired… To Self-Destruct” è un buon album, ma si complica la vita nella sua eccessiva lunghezza. Un paio di canzoni in meno e qualche taglio nel minutaggio avrebbe giovato molto al risultato finale.

(Matteo Piotto) Voto: 7/10