copabstrusaunde(Apathia Records) Questo album è stato composto nel 2008 e poi registrato tra il 2009 e l’anno seguente e solo in questi giorni riesce a finire sul mercato. Gli Abstrusa Unde realizzarono un demo nel 2008 e da allora tanto penare per arrivare alla fine di questo percorso che li ha portati finalmente alla pubblicazione di questo debut album di prog-symphonic black metal. Partecipa vocalmente ai brani la soprano Perrine G., ma anche quasi una dozzina di musicisti che suonano violino, violoncello, clarinetto e diversi coristi. Ecco dunque anche il motivo per il quale l’album ha richiesto oggettivamente del tempo. Il lavoro inizialmente doveva toccare i 70′ e la tematica traeva spunto dal mito di Orfeo. “Introspection” adesso va sotto l’ora e propone un’architettura sonora impressionante. Melodie su melodie e prodotte da passaggi metal e orchestrazioni, spaziando tra symphonic black metal, soluzioni jazzate, gothic metal e anche rock. L’album da l’imressione di essere un’opera, nel senso di insieme e coesistenza dei pezzi che si incatenano tra di loro. Alcuni brani colpiscono da subito. “Hastra Ha”, incipit etereo, tastiere leggere, la stupenda voce della Perrine e poi ecco che arriva un black saettante, un po’ Dimmu Borgir e con un suo tratto di solennità corale. “Carrousel” nei suoi primi attimi mi ha ricordato scenari alla Theatre of Thragedy, però il brano prende una sua forma, un suo dinamismo, cambia volto, cambia stile. Anche “The Gutter”, brano strumentale di soli 2’30” possiede il suo fascino e stuzzica per i risvolti jazz. “Suune Kvalta”, che chiude l’album, ha un tono barocco, un duetto tra la Perrine e la chitarra, di nuovo il jazz, le bordate di black (le distorsioni nell’album hanno un sound patinato) e nel mentre i ricami orchestrali e delle tastiere che impreziosiscono questa canzone, seguita da una coda electro-symphonic ambient. “Al Aklorodan” è forse il brano più tenacemente metal, anche se nel mezzo e prima della fine rientrano in gioco le strofe della soprano e giochi di tastiere. A questo punto devo anche dire come ci siano cose che potrebbero essere facilmente riconducibili ad alcuni nomi illustri, talmente tanto illustri che sarebbe meglio evitare di citarli per non incorrere in paragoni scomodi. Lasciamo ognuno alla sua arte. Il ragionamento è semplice, non è facile sentire arrangiamenti così fluidi e un tessuto musicale così grazioso e piacevole in un album di una metal band debuttante. Eppure questi ragazzi di Parigi non hanno nessun nome di rilievo in formazione, tranne Alexis Fartek, bassista ex tournista dei Borgia, come il chitarrista Renaud Fauconnier, il quale però vanta anche trascorsi nei Wormfood. Il cantante, Augustin Bernard-Roudeix ha un cantato in growl, ma la sua prestazione è piatta. Le chitarre inoltre si sentono in gran forma per alcune scale e spunti solisti, mentre dal punto di vista dell’ossatura generale del riffing non ho udito poche volte dei gran passaggi. Sono i solismi e i contrappunti delle sei corde al riffing ritmico che fanno la differenza. Però, visto che ho istintivamente menzionato una sola band importante come riferimento, riprendo l’illustre combo norvegese per dire come arrivarono a fare un album con un’orchestra vera e con tanto di coro, dopo 16 anni. Gli Abstrusa Unde lo hanno fatto subito, rischiando e prendendosi tanto tempo. Certo, loro lo hanno fatto con un quinto di persone che hanno usato i maestri norvegesi e con una resa non paragonabile a quella del loro album; ma l’ambizione a volte, come nel caso degli Abstrusa Unde, è una partner magnifica.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10