(Sun & Moon Records) ‘Culto funebre della personalità’: sembra quasi un controsenso. La personalità è legata all’esistenza, alla vita, contempla la devozione di una figura vivente, con i suoi pensieri, le sue azioni, il suo potere. Ma nel santuario deviato degli Abysmal Grief, la vita è solo una breve e fugace parentesi nell’infinità temporale della morte. La vita è limitata, instabile, priva di certezze, necessita di condizioni particolari per esistere… mentre la morte è -indubbiamente- per sempre. È eterna. E sensualmente misteriosa. Umanamente tutto quello che non rientra dentro un tempo ed una dimensione misurabili, tutto quello che si cela dietro l’incomprensibile diventa culto, diventa rito, diventa una liturgia dall’immenso potere mistico, una pratica devozionale nel nome della quale i membri della band si rivelano sommi sacerdoti. È facile adorare divinità concepite per difendersi dalla paura e dall’ignoto. È comodo costruire religioni sopra concetti strettamente e limitatamente umani. È naturale adorare un dio per assicurarsi una vita migliore dopo la morte. Ma gli Abysmal Grief non girano attorno a questi concetti effimeri, vanno oltre, verso la magia ascetica dell’assoluto: la morte è la vera Dea, la morte è la vera eternità, la morte è essere l’unica forma di esistenza spirituale (prima) dopo l’esistenza terrena, in quanto polvere eravamo e… polvere diventeremo. In questo rituale perverso, pregno di incenso, in costante contrapposizione tra il sacro ed il profano, tra l’ecclesiastico ed il diabolico, attraverso la luce del sole filtrata da quelle vetrate popolate da idoli sacri, il quartetto italiano si inoltra lungo quei sentieri irti attraverso antichi cimiteri, decadenti luoghi di culto, tra l’aria respirabile e sulfurea, tra verdi pascoli e nauseabondi inferi pestilenziali, tra salvezza e nebbie perenni che negano luce, aria e vita. Con il loro doom inconfondibile, con quei riff taglienti che Sua Eccellenza, il Maestro, Regen Graves riesce a vomitare, con quelle molteplici canne d’organo che osannano al cielo verso un Signore in decadenza di un regno in rovina, con la teatrale e provocante voce di Lord Labes C. Necrothytus, con quel penetrante flauto e quell’ipnotico violino, gli Abysmal Grief riportano tutto alla terra, al quel punto di inizio… e quel punto terminale, all’alba dello spirito e al suo crepuscolo senza tempo. Chiamatelo doom. Chiamatelo horror rock. Farcitelo di definizioni ecclesiastiche, liturgiche, sataniche, demoniache… o inneggiate teatralmente alla caduta di ogni angelo verso le calde e voluttuose fiamme dell’inferno; ma gli Abysmal Grief sono e sempre saranno comunque un passo avanti. Qualsiasi definizione, opinione, ipotetica tendenza artistica si rivela qui estremamente limitata. Gli Abysmal Grief non sono musicisti che si atteggiano e che usano un certo immaginario per costruirci sopra una forma d’arte. No. Loro sono delle vere creature della notte. I veri tombaroli, gli spiriti che danzano tra le lapidi corrose dagli elementi, sopra un muschio che prospera grazie ad umidità e carne in putrefazione. Gli Abysmal Grief rimangono sinceri, veri, concreti, paurosamente coerenti. La loro musica non fa parte dello spettacolo, non è entertainment: questa è un’arte liberatoria, la naturale espressione artistica della loro degenerazione notturna. Quel cimitero non è un simbolo, non è immagine, non è la banale dissolutezza che vuole esaltare una visibilità artistica. Quel cimitero è la loro casa. La loro origine ed anche la loro fine. L’Alfa e l’Omega. Una mortalmente velenosa linfa vitale. È la loro essenza. La profonda crepa su quella loro lapide centenaria. È la loro tomba, quella che urla un fragoroso silenzio notturno.

(Luca Zakk) Voto: 10/10