(Magnetic Eye Records) Debuttano i doomsters svedesi Altareth. Chitarre con tonalità malvagiamente basse, ritmi lenti, tendenze sludgy e linee vocali tra il vintage e l’etereo. Doom, con punte deliziosamente rock. Fuzz, pesantezza sonora, miasmi sulfurei e psichedelici: bastano brani quali “Satan Hole” e “High Priest” per convincere, per far scoprire queste sonorità sia pesanti accentate da provocanti impostazioni melodiche stilisticamente aperte, il tutto in un’aura tanto epica quanto drammatica, tanto sognante quanto priva di speranza ed evoluzione. Seducente ed irresistibile “Satan Hole”, farcita di riff e melodia la sulfurea “Downward Mobile”, ipnotica ”Eternal Sleep”. Teatrale ed apocalittica la lunga “Moon”, lineare ma con auree perversamente pungenti su “High Priest”, prima dell’inquietante e brillante conclusiva “Empty”. Con tematiche tra l’eterno e l’imminente, tra il futuro remoto e quello che succede ora, ecco un album espresso con fervore carnale: attraverso sangue, aria, veglia, sonno, sole e -principalmente- luna; “Blood” scava nel doom più puro, più idealista, ortodosso e deliziosamente tradizionale!

(Luca Zakk) Voto: 7,5/10