(Iron Bonehead) Da non confondere con i thrasher svedesi (e con un’altra manciata di band che hanno scelto questo moniker), questi death-doomsters tuonano da Lima, in Perù. Attivi ormai da quasi tre lustri, dopo vari demo arrivano finalmente al debutto impressionando e sorprendendo. Per essere chiari, molte bands dal Centro/Sud America che si cimentano su generi estremi, e quando vengono apprezzate, di solito, vincono per efficacia ma difficilmente propongono cose nuove che non risultino già sentite e risentite in ambito nord americano o nord europeo… cose che a volte sono anche ben fatte, ma rappresentano un revival di suoni ormai pregni di nostalgia (il concetto lo esprime molto bene un collega QUI). Ma questi Antichrist sono diversi. Certo, fanno death, doom, funeral doom … ma sanno metterci un tocco personale, distintivo, capace di dare vita ad un album veramente godibile, intenso, catchy e malignamente putrefatto! Un album lento. Dannatamente lento. Anche quando il riffig si intensifica, ed il drumming scandisce con più intensità, c’è questa letale sensazione di aria funebre, intensificata da una sonorità catacombale, linee vocali cavernose, in un armonie di melodie nebbiose accentate da keys o chitarre che cercano, con immenso sforzo, di uscire dal catrame per dare (riuscendoci) una tocco marziale, malinconico e privo di speranza a tutti i brani. Putrefazione intensa con “Forgotten in Nameless Suffering”, una putrefazione resa ecclesiastica da un uso intelligentemente gotico delle fugaci tastiere. “Obscurantism” è per metà violenza, per l’altra metà dolorosa redenzione e nera preghiera. “In the Dark and Mournful Corner o Memory” è crudelmente lenta: spoken vocals remote, arpeggi depressivi, mentre ritmica e batteria creano intrecci strani che incrementano il livello di malvagità del brano fino a quel slow/mid-tempo che non fa prigionieri. Musica estrema tipicamente old school, si fonde con un funeral doom gotico di pregiata satanica fattura grazie a “Screams And Lamentations Drowned”, un brano che non solo sfiora i portali dell’ambient, ma offre anche un mid tempo cadenzato di irreversibile crudeltà ritmica, tanto da convertire il concetto di headbanging in un mortale rituale da celebrare prima del violento trapasso. La band riassume il messaggio che diffonde con il titolo dell’ultimo lunghissimo brano, “You Will Never See Sun Light”; in oltre dodici minuti gli Antichrist se la prendono comoda, infliggendo il massimo del dolore, a lungo, con tutte le loro armi soniche già introdotte nel resto del disco: riff lenti fino all’inverosimile, vocals prive di respiro, keys che rendono tutto così eroticamente dissacrante… fino ad un pianoforte che chiude un debutto con disperata malinconia infestata da demoni immondi. Un album che ridefinisce l’oscurantismo totale e ne inneggia il concetto stesso, elevandolo ad un livello di perversione divina. Una colonna sonora perfetta per quel breve lasso di tempo estatico che intercorre tra l’ultimo respiro e l’ultima badilata di terra che ricopre la fossa, sigilla la tomba e celebra l’inizio del lungo viaggio verso l’eterno oblio.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10