(Red Bull Records) Terzo album per la formazione americana impegnata in un sound aggressivo, a cavallo tra il punk ed il metalcore. La carriera di questi giovani artisti è costellata da eventi interessanti, tra questi il Billboard top 25, il Metal Hammer Golden Gods Awards ed il Loudwire Music Awards. Sound giovane, sound ribelle, sound aggressivo ma anche passionale, grazie alla dualità dei riff e del singing: a tratti violenti, a tratti profondi e introspettivi. Il songwriting del leader Caleb Shomo (classe 1992) è autentica, sincera, ricca di sentimenti i quali attecchiscono tra il pubblico giovane che sente il bisogno di poesia violenta, poesia di strada, poesia psicologica, ribelle e pregna di rabbia. Infatti l’album non punta a vittorie, conquiste o autodeterminazioni ma esplora problematiche tipicamente giovanili secondo le quali il primo vero successo non è arrivare ma capire come gestire le cose che quotidianamente capitano nella vita, da quelle più ovvie a quelle sentimentali, passando per i veri problemi, le delusioni e gli abusi; tale espressività impartisce al disco una venatura oscura, decadente e sicuramente depressiva, rimanendo autentico e trasparente. Tutto questo è chiaro se si guarda la storia della band, la quale è partita come progetto solista senza pretese, uno sfogo personale del leander, per poi salire di livello, fino alla visibilità internazionale e l’accasamento nella Red Bull Records! Apocalittica “Greatness Or Death”. Travolgente la title track. Violenta e coinvolgente “Fire”, un brano cattivo e melodico ma dalle radici palesemente punk. Oscura aggressività romantica con “You Never Know”, rabbia metal core che trasuda da “Bad Listener”. Provocante l’ottima “Afterall”, un brano che mi ricorda idee dei norvegesi Fight The Fight. Instabilità mentale con “Manipulation”, un brano con un groove poderoso, un ritornello eccellente ed una ritmica irresistibile che affonda le radici nelle atmosfere gotiche del nu-metal. Ancora base punk con deviazioni moderne su “Believe” e “Used And Abused “, suoni taglienti con “Infection”, mentre la conclusiva “Clever” appare essere il brano più dolce, più compatibile con le radio, forse il più vicino ad una dimensione commerciale. L’infanzia turbolenta ed una psiche sostanzialmente instabile del mastermind si sono riversate nei dodici brani, i quali cercano di esorcizzare un paniere dannazioni auto inflitte; Caleb stesso motiva la stesura dei brani dichiarando che la depressione è un qualcosa che sta solo nella propria testa, senza motivo… pertanto sembrerebbe facile sbarazzarsene… ma non è così e la cosa semplicemente non se ne vuole andare, sembrando saldamente radicata nel profondo; ed è questo il significato dell’intero album, del titolo “Disease”: un canale nel quale convogliare un turbinio emozionale contorto, complesso e pericolosamente instabile. Un artista che con la sua band riversa nei brani tutto se stesso, tutta la sua vita, le sue emozioni, le paure, le sofferenze e, perché no, le poche deboli speranze; questo canalizzare mette in secondo piano un orientamento commerciale del sound, ma non smette di apparire magnetico nei confronti di un pubblico giovane che a causa della frivolezza dei valori sociali odierni si sente capito dall’artista ed esaltato dalle sue creazioni. Esattamente lo scopo principale della musica rock, in tutte le sue evoluzioni, deviazioni e divagazioni.

(Luca Zakk) Voto: 8/10