(Avantgarde Music) Con il quarto album i tedeschi Beltez si accasano presso la Avantgarde Music per dare vita ad un lavoro complesso, intenso e davvero lacerante. Black metal che rispolvera le radici mentre, contemporaneamente, divaga verso nuove direzioni, strizzando l’occhio al death, vagando in territori post black, instaurando atmosfere tanto spaventose quanto suggestive e sensuali. L’imponente album (oltre un’ora), è accompagnato da un audio libro, ovvero la lettura della breve opera letteraria della scrittrice (sempre tedesca) Ulrike Serowy, intitolata “Black Banners” e scritta esclusivamente per la band, la quale ne trae un concept album incentrato su disperazione, perdita della speranza ma anche forza e coraggio, quasi la sintesi l’eterna lotta dell’essenza umana. L’audio libro, tra l’altro, è ‘recitato’ da due voci, una delle quali è quella di Dan Capp dei blacksters inglesi Wintherfylleth (e mente del progetto dark folk Wolcensmen), mentre l’introduzione è affidata a Evan Hunt dei neozelandesi Metaltower. Lunga “The City Lies In Utter Silence”, un brano che apre con violenza apocalittica prima di abbandonarsi ad una visione introspettiva, oscuramente sensuale, con clean vocals eteree, verso un crescendo tuonante, trionfale, verso un finale ricco forsennata brutalità. Esalta il mid tempo di “Black Banners”, emergono sentimenti glaciali su “A Taste Of Utter Extinction”, brano sferzato da una melodia apocalitticamente epica. Stupenda “The Unwedded Widow”: un lungo inizio malioso che poi esplode in black metal crudele ma intensificato da dettagli creativi fino all’apertura nuovamente epica, un’alternanza di sensazioni prima di un finale trasudante mestizia. Emerge un black più tradizionale sull’ottima title track, canzone che non nega quelle aperture al death, al post black, ad una ambientazione cinica e meravigliosamente brulla. Quasi quindici minuti per “I May Be Damned But At Least I’ve Found You”: invitante e seducente all’inizio, poi marziale e successivamente estrema, disperata, verso il lungo assolo finale capace di trasmettere condanna ma anche ribellione, materializzando la fine ma anche un nuovo inizio. La conclusiva “We Remember To Remember” è l’epilogo, il crollo fragoroso di mura che non proteggono più, che non sono più un simbolo di sicurezza, di salvezza. È la fine. È forse quel nuovo inizio. Black metal e spiritualità. Atmosfera e violenza. Un’aura cupa ma anche un’elevazione illuminante e sconvolgente. Un coinvolgente viaggio tormentato verso una profondità psicologica priva di luce, lacerata da tormenti, sofferenza, rimpianti.

(Luca Zakk) Voto: 9/10