(Nordvis Produktion) Terzo full length per gli svedesi Bhleg, i quali ancora una volta propongono un blend crudele di sferzante black metal ed ipnotico folk. C’è molto inverno in questo “Ödhin”, molto soffiare di venti gelidi sotto un cielo meravigliosamente stellato, un cielo invernale che copre lande coperte dal ghiaccio, un ghiaccio che cela l’intensità dei colori che si riveleranno nella prossima stagione. Rispetto ai precedenti lavori c’è leggermente meno separazione tra folk, atmosfera e black, quasi come se si andasse verso una convergenza di diversi filoni di ispirazione e vari sentimenti, una omogeneità alla quale un inverno innevato condanna tutta la natura che riesce a coprire, un fato ciclico al quale è impossibile sfuggire. La violenza cinica di “Vyss” cresce, esplode per poi evolvere in un mid tempo irresistibile, trasudante folk, fierezza, legame con la terra. “Alyr III” continua un percorso iniziato con rabbia su “Draumr Àst” (qui) e proseguito con oscurità e decadenza su “Solarmegin” (qui): in questo terzo capitolo c’è una dualità tra violenza prettamente black e divagazione puramente folk, verso un connubio dal sapore deliziosamente glorioso. Si sborda in un ottimo dungeon synth con “Gyllene gal”, l’esperienza di ascolto diventa coinvolgente ed ipnotica con la lunghissima “Slukad sol”, grazie a tutte le sue tuonanti variazioni. Ferina, primitiva ma anche libera da schemi predeterminati la grintosa, pulsante e melodica “Ödet”, prima della malinconia struggente ma sognante della conclusiva “Drömmen om vårdträdet”, un brano interamente folk, suonato con strumenti a corde etnici i quali con dolcezza ed atmosfera suggestiva accompagnano verso la fine album. Con questo inno all’inverno e al destino del quale si fa premonitore, i Bhleg danno vita a musica intensa, musica che abbraccia la vita e le sue origini, ma anche la natura in tutta la sua poderosa magia. Musica che descrive una tale grandezza innanzi alla quale noi possiamo solo sentirci infinitamente minuscoli.

(Luca Zakk) Voto: 9/10