(Apollon Records) Atmosferici. Psichedelici. Pesanti. Progressivi. Contorti. E dannatamente oscuri. I norvegesi Bismarck giungono al secondo lavoro, regalando musica che avvolge ed ipnotizza, sferzando con violenza e stimolando con provocazione. Apre “Tahaghghogh Resalat” (“تحقق رسالت”), canzone dai sapori mediorientali, la quale viene iniettata da chitarre dal sapore cosmico, mentre le pulsazioni fremono, il basso palpita e le vocals etniche portano lontano. La title track si abbandona alla violenza, un black metal oscuro e catacombale, evolvendo verso un doom granitico, puro headbanging, un macigno sonoro prorompente. Ma quel doom è instabile, mutevole, tanto da convertirsi magicamente ad un rock più soft, etereo, psichedelico, un rock che appartiene ad un vasto range di epoche, senza invero appartenere a nessuna. Immediata istigazione al mosh con la ruvida “The Seer”, la quale poi rallenta drammaticamente, condannando il suono ad uno sludge impestato e fumoso, sul quale tuona una linea vocale deliziosamente death metal. Si torna poi alla cattiveria, un’alternanza sensoriale ricorsiva coronata poi da un finale isterico. “Hara” è mefitica, porta in basso, più giù, anche nelle aperture dark rock o gli accenti psichedelici remotamente gotici. Spiritualmente eterea la conclusiva “Khthon”, una canzone dal gusto post rock favoloso, ma anche atmosferica, astrale e convulsamente sludge. Album estremamente intelligente, complesso ma anche immediato, fruibile, accattivante e tentatore. Magia, realtà, mistero, chiarezza, oscurità, luminosità, violenza, pace interiore: un turbinio di dichiarazioni metaforiche che si intrecciano, si contorcono e si proiettano prepotentemente nella mente dell’ascoltatore.

(Luca Zakk) Voto: 9/10