copBlaakHeat(Svart Records) Ci deve essere qualcuno in Svart Records che, oltre a fare un consumo esagerato di stupefacenti multicolore, riesce in qualche misterioso modo (riti voodoo?) a scovare la roba più assurda e meno nota in circolazione. La label è infatti famosa per produzioni strane, vintage, psichedeliche, ai confini di così tanti generi da abolire la definizione di genere stessa, e con i Blaak Heat le cose si esaltano, impazziscono… visto che si tratta di una band parigino-americana, un trio per la precisione, impegnato in qualcosa di completamente assurdo: provate ad immaginare un rock vintage, un po’ ’60s un po’ ’70s. Led, Deep… roba del genere. Poi iniettateci molte pasticche, tanti funghi e un bel po’ di acidi. Infine non dimenticante l’avant-garde… le stranezze francesi, le innovazioni americane… il tutto ben mescolato con una letale dose di musica medio orientale. Loro stesso ammettono che una delle tracce, “Mola Mamad Djan” altro non sia che folk afgano (!!!) abbastanza rivisto e reso dannatamente sinistro. Il delicato equilibrio tra occidente ed oriente (medio o meno) è costante in queste dieci tracce fuori di testa, con parti vocali sostanzialmente limitate, ed una costante componente prog (ops, non l’avevo citata prima) che rende il tutto sublime, immenso, ultra tecnico ma anche irresistibile, ipnotico e oscuramente magnetico. “Anatolia” presenta l’ambientazione molto sparsa dei temi musicali trattati. “Sword of Hakim” offre un po’ quasi tutte le facce di questa band, con “The Approach To Al-Mu’tasim” che decolla verso deserti senza fine. “Ballad Of Zeta Brown” è prog rock pesante, farcito di ‘orientalismi’ in un contesto pesantemente ispirato all’immaginario collettivo suscitato da nomi quali Ennio Morricone e Sergio Leone. Pesante “Black Hawk”, senza confini “Mola Mamad Djan”, superba “The Peace Within” che riesce pure a richiamare parentesi di origine Maideniane, mentre la conclusiva “Danse Nomade” spinge sul pedale del prog generando qualcosa di immenso. Tempi strani, tonalità strane, strumenti strani (ci sono pure le percussioni), il tutto per generare un unico impattante suono assolutamente super partes, multi culturale e anti culturale allo stesso tempo. Le componenti rock, la potenza, il fattore travolgente non mancano mai, ma rimangono quei sapori esotici che rendono “Shifting Mirrors” un assoluto esempio di riuscita sperimentazione musicale estrema…

(Luca Zakk) Voto: 9/10