(BMG) Il settimo album dei Black Sabbath riceve le attenzioni di un’iniziativa che interessa l’intera discografia della band, almeno quella con la formazione originale. Si parla di un ampio cofanetto sia in versione CD che vinile, con all’interno l’album nella sua versione rimasterizzata, quella con un nuovo mixaggio svolto da Steven Wilson, brani dal vivo, le cosiddette outtakes dalle session di registrazione e mixaggi alternativi. Pubblicato nel 1976 con l’intenzione di allontanarsi da certe sonorità pesanti quanto oscure, “Technical Ecstasy” vede la band di Birmingham tenta un colpo stilistico non indifferente. L’inserimento di sintetizzatori, l’uso di melodie più fresche ed anche ‘solari’ o addirittura pop, come nel caso della celebre “It’s All Right” che vede alla voce il batterista Bill Ward. “Technical Ecstasy” segna un’intenzione molto più solida per la band inglese di portare avanti un discorso di cambiamento, già manifestato in certe sperimentazioni precedenti a questo album. Il remix di Wilson apparentemente offre una certa freschezza – ha lavorato proprio sui nastri analogici originali – sia nei suoni e in qualche andatura di certi pezzi. Sebbene “Technical Ecstasy” abbia raggiunto traguardi comunque interessanti in termine di vendite, resta una lavoro molto discusso, soprattutto all’epoca che venne valutato in maniera tiepida. Eppure le generazioni seguenti hanno assorbito e fatto proprio questo album quanto altri dei Black Sabbath, come “Sabotage” per esempio, perché se la creatività del gruppo era forse in ribasso è pur vero che per molti è stato un modo proprio per avere nel cuore un’ulteriore identità dei propri beniamini, magari più frizzante rispetto alla plumbea anima che la band aveva mostrato sin dagli esordi. Le versioni dal vivo, dal Live World Tour del 1976-1977, fanno sentire quanto Ozzy Osbourne manifesti la sua preponderante personalità che si completerà nel suo soprannome di Madman. Tra l’altro di lì a poco lascerà la band. Sono le outtakes però a catturare comprensibilmente l’attenzione. Nonostante le mani esperte di Wilson e i canonici ‘remasters’, outtakes e missaggi alternativi, tutto permette di comprendere la genesi quanto la formazione di certe canzoni. Si nota il lato musicale che mostra già una certa forma solo da limare e un Ozzy che sembra cambiare poco nella performance nelle fasi preparatorie all’album rispetto a quelle che poi finiranno sul disco. Due versioni di “She’s Gone” arricchisono il pathos di questo brano e con Ozzy ben più in là in fatto di interpretazione rispetto alla versione definitiva della suddetta canzone. Sappiamo tutti che questo non è l’album perfetto dei Black Sabbath e tuttavia dell’età d’oro di Ward, Iommi, Butler ed Osbourne chi mai butterebbe qualcosa?

(Alberto Vitale)