(AFM) Pacchiani, scontati, commerciali… insultateli come volete, ma i Brothers of Metal funzionano come band, questo non si può negare! Il secondo album degli svedesi (il primo lo trovate recensito qui) è forse ancora più leggero e melodico di “Prophecies of Ragnarok”, ma si fa comunque ascoltare da un rude pubblico di metallari. La cadenzata “Powersnake” si colloca all’intersezione fra il metallo boombastico alla Sabaton o alla Powerwolf, quello classicamente tosto alla Hammerfall, e un tocco di symphonic alla Epica: il risultato è più maturo che nel debut. Ancora un mid-tempo con “Hel”, che incorpora anche qualche elmento folk (nei cori e nelle chitarre acustiche), poi è indovinatissima la melodia di “Kaunaz Dagaz (Dawn of Fire)”, che si muove fra Visions of Atlantis e… Running wild, per il giro folkish e la natura degli assoli. Per la sua magniloquenza sonora, “Theft of the Hammer” ha anche qualcosa della pomposità appariscente, ma efficace, dei Gloryhammer; “Weaver of Fate” è una ballad ben riuscita, una pausa dai toni delicati in mezzo a un disco molto ritmato. Si riprende subito, infatti, con “Njord” e i suoi toni cadenzati, inevitabilmente basati (alla lontana!) sui Manowar per cori e uso del basso, ma sviluppati in direzione sabatoniana. La titletrack è l’unico brano di una certa lunghezza, e si sviluppa in diversi momenti, riuscendo a tratti molto epica (il primo, etereo minuto è da brividi); emoziona l’inno “One”, si chiude con la limpida “To the Skies and beyond”, brano con un paio di armonie vocali da brivido, trionfali e sfarzose, e un tono alla Equilibrium. In generale mi è piaciuto più il debut, che aveva un paio di ritornelli veramente over the top, ma “Emblas Saga” dimostra in modo inequivocabile che i Brothers of Metal saranno pure un carrozzone, ma non sono un fuoco di paglia.

(René Urkus) Voto: 7,5/10