(Byelobog Productions) Nel Valhalla del black metal norvegese ci sono dei personaggi che, per una ragione o per l’altra, emergono, stanno in qualche modo sopra agli altri. Da vivi e da morti. Dead sicuramente. Euronymous senza dubbio. Gaahl per esempio. Poi anche Hellhammer, Necrobutcher. Frost e molti altri. Ma il più contorto, misterioso, particolare e controverso è sicuramente Varg Vikernes. Ovvero Burzum in persona. La sua carriera è stata contorta: le origini, gli album fondamentali, il carcere, gli altri album durante e dopo la detenzione, il suo essere assurdamente prolifico, poi gli album ambient, l’emigrazione e la sua attuale vita da quasi eremita. Un personaggio unico che non fa proprio nulla per apparire normale o per conformarsi. Nemmeno la presentazione di questo album viene offerta come una qualsiasi cartella stampa: l’album, ammesso che di album si tratti, viene presentato con una lunga intervista condotta dal noto giornalista inglese Dayal Patterson, una intervista che evidenzia un Varg reclutante, quasi annoiato, asettico, forse volutamente antipatico. La sintesi è semplice: a Varg non frega più nulla della musica. Non tocca una chitarra da molto tempo. Non gli interessa la promozione del disco (la quale è però ed ovviamente spinta dal manager). I brani sono materiale registrato nel tempo (tra un anno e cinque anni fa) e rimasto da qualche parte in un angolo. Nemmeno per l’ordine dei brani c’è stato dopotutto molto lavoro: un po’ di ascolti ed ecco una più o meno sensata sequenza dei pezzi. Varg non suona più, ma per il musicista che fu, ogni tanto butta giù delle idee, quasi sempre utilizzando un vecchio computer ed un software non meno recente, con un normale microfono comprato online per registrare la sua voce e qualche suono. Lo studio di registrazione per strumenti come la lira è un vecchio furgone Volkswagen e l’apparecchiatura tecnica è la telecamera nota per i mitici video sul suo defunto canale youtube. Nemmeno la batteria è una vera batteria su certi brani, ma è Varg che batte il piede sul pavimento di quello sgangherato furgone. Gli hobby di Varg sono coltivare la terra, scrivere libri ed il suo gioco di ruolo Myfarog, tanto che forse questo album ne è in qualche modo la colonna sonora. La copertina stessa, un lavoro di Theodor Kittelsen come fu per il leggendario “Hvis lyset tar oss”, era stata scelta originariamente per il gioco. La title track, allineata con la mitica “Han Som Reiste” (da “Det som engang var” del 1993), è stato un passatempo di Varg il quale voleva provare a ricordare il brano originale. A Varg non interessa più suonare musica. Non vuole nemmeno essere più ispirato. Varg ha altro da fare nella vita. Capitolo chiuso. L’album è nato accidentalmente e Burzum è un’entità defunta. Riassumendo: Varg è ormai così lontano dal mondo, così astratto e volutamente emarginato tanto da non voler comporre musica, se non per caso e senza impegno, musica che quando nasce non scatena in lui l’interesse per la pubblicazione. Ci sono artisti che si dannano l’anima per trovare l’ispirazione cercando di dare vita ad idee musicali personali ed originali. Poi ci sono artisti veri, che riescono a descriversi completamente con 23 brani, nati per caso, per gioco o per noia in una giornata piovosa. Brani dai quali emergono scenografie fantastiche, odori di tradizioni, villaggi remoti ed antichi, immagini epiche, sensazioni rilassanti e suggestive. Dall’ambient al tribale. Dal dungeon synth allo sciamanico. Dal trionfale al narrativo. Dall’oscurità dell’occulto alla luminosità della natura. Un livello sopra tutti gli altri. Non oso immaginare cosa potrebbe fare questo contorto essere umano nel caso ritrovasse il desiderio di suonare ancora una chitarra…la voglia di tornare a fare le cose seriamente…

(Luca Zakk) Voto: 10/10

«Non ho alcun interesse a suonare musica», lo dice Varg Vikernes in un’intervista fatta per promuovere “Thulêan Mysteries”. Nella stessa dice anche che «Burzum è morto per me, e lo era anche prima di questo album». Vero, lo ha dichiarato già da tempo. Vikernes ha di meglio da fare e la sua chitarra è in un angolo a prendere polvere. Ha il suo quotidiano e la propria famiglia alla quale badare, nel mezzo della campagna accanto a una foresta nel cuore della Francia. Perché dunque un nuovo album e addirittura come Burzum? Le risposte sono due e solo una è ufficiale. La non ufficiale è che i musicisti e le star della musica, perché a Varg Vikernes gli si accapponerà la pelle ad essere equiparato a ciò, ma lui è anche questo suo malgrado, sono dei bugiardi. Nel migliore dei casi degli incoerenti e contraddittori. Ci casca anche Vikernes nel giochino del “è finita-ritorno”. Lui che sul pubblicare della musica dice «immagino che il mio disgusto sia cresciuto a sufficienza da non voler più nemmeno essere ispirato». La motivazione ufficiale però è la sua vecchia passione per i giochi di ruolo. Il norvegese infatti da tempo cura e gioca a Myfarog, gioco di ruolo di sua creazione giunto ormai alla terza edizione. Il gioco è ambientato nella terra di Thule e questo album in stile “The Ways of Yore”, in un certo senso accompagna le avventure in quel luogo fittizio. I pezzi di “Thulêan Mysteries” sono nati per caso, «casualmente» e pensati dall’autore durante il gioco o per il gioco. Sono dunque una diretta conseguenza di Myfarog. Il materiale è stato composto nell’arco degli ultimi cinque anni e sono principalmente di carattere strumentale. Dunque Myfarog è un gioco di ruolo che da ora ha anche un suo album. In questi ventitré paesaggi figura anche “Han Som Reiste”, udita in “Det Som Engang Var” ora rinominata “Skin Traveller”, cioè “camminare sulla pelle” che si rifà a un termine norreno. “Forgotten Realm” invece è molto simile alla celebre “Rundtgåing Av Den Transcendentale Egenhetens Støtte” di Filosofem. Una cosa è certa: Burzum magari ritorna, ma Varg Vikernes è sempre attivo e imprevedibile.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10