(Listenable Records) A volte capita che il valore di un disco vada al di là della qualità intrinseca dei brani in esso contenuti. In certi casi succede che subentri il valore affettivo, il legame a un certo evento o semplicemente il ricordo nitido della prima volta in cui si è ascoltato quel determinato album. Ero un ragazzino di circa tredici anni e un pomeriggio, anziché studiare, preferii spulciare la collezione di vinili di mio fratello, quando mi imbattei nei Cadaver, rimanendo affascinato sia dal nome della band che dalla copertina, che al tempo ritenni decisamente splatter. Dal punto di vista musicale, il ricordo più nitido è sempre stato quello dell’intro intitolato “Tuba”, così dissonante e disturbante, quasi fastidioso, eppure perfetto per introdurre l’ascoltatore nei meandri di un album morboso, brutale e decisamente avanti con i tempi, dove il death metal venato di thrash dei primi Morbid Angel incontrava il grind di Napalm Death e Carcass, il tutto filtrato in un’ottica progressiva affine a Voivod e Coroner. Oggi, a quasi quarantotto anni e a trentacinque anni di distanza, ho l’opportunità di ascoltare la reissue di quell’album, che continuo a considerare come una pietra miliare, un capolavoro che avrebbe meritato quel successo raggiunto da altre band talvolta meno meritevoli. Devo dire di essere rimasto un po’ deluso proprio per le caratteristiche che da ragazzino avevano contribuito a farmi amare questo disco. La copertina è diversa rispetto alla versione del 1990, sostituita ora da un’opera di Daniele Valeriani, noto per aver collaborato tra gli altri con Mayhem, Mysticum e Candlemass. Il disegno in sé si fa apprezzare, ma personalmente la cover originale la trovavo più disgustosa e splatter nella sua semplicità. L’altra perplessità è data dalla tracklist, cambiata nell’ordine e con l’aggiunta di un’intro e un’outro in più, ma soprattutto “Tuba”, ora intitolata orribilmente “Tuba Libre”, non è posta in apertura, ma a metà scaletta, scelta che ritengo scellerata, visto che a mio avviso era perfetta per entrare nel mood dell’album. Se poi aggiungiamo che tale traccia ora suona ripulita, gradevole e priva di quello stridore disturbante, va da sé che perde totalmente il proprio fascino malato. I brani contenuti sono invece dei classici immortali del death metal, riproposti con una registrazione migliorata, ma per fortuna non iper-pompata, mantenendo buona parte del fascino grezzo della versione originale. Un’ottima occasione per riscoprire un album fondamentale di death metal vecchia scuola ma evoluto allo stesso tempo.

(Matteo Piotto) Voto: s.v.