(Century Media Records) I Caliban hanno il merito (per alcuni) di avere dato una vera direzione al metalcore europeo, allevandolo ed evolvendolo. “Gravity” è un ulteriore gesto di appartenenza verso un genere che solletica il nostro tempo, attraverso una produzione fragorosa, enfatica, con un tono quasi neo-industrial in alcune fasi. Il sound dei Caliban subisce qualche sensibile variazione, almeno rispetto alle due precedenti prove, cioè “Ghost Empire” e “I Am Nemesis”. Il cantato di Andreas Dörner appare più chiaro e forse diretto rispetto a quanto fatto fino a oggi e il groove delle chitarre è più oscuro (accordature in minore?); due segni sono immediatamente avvertibili e palesemente in mostra. L’ascolto affina l’orecchio ed ecco che ci si sente dentro a tali atmosfere grige, pregne di pulviscolo e di ansia, figlie della nostra società lanciata verso l’ignoto. Le canzoni forse non sanno realmente distinguersi per grandi meriti, o forse solo per dettagli e potenza, e in questo centrano anche i cori dal ‘già sentito’, ma anche per le idee che in fin dei conti sono più o meno da tutti e da chiunque. Da ammettere che “Gravity” lascia la sensazione di averlo comunque respirato, nella sua atmosfera anziché di averne ascoltato le canzoni e in fin dei conti è ben confezionato attraverso gli standard della band.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10