(Autoproduzione) I quattro Chains & Visions sono italiani e hanno un retroterra formativo di tutto rispetto, studiando e perfezionandosi attraverso gente di quotata bravura ed esperienza, come Marco Pasquariello (voce), Stefano Pellegatta (batterista), Carmine Savoia (chitarra) ed altri. Il sound che è nato dall’infusione delle loro creatività è un hard rocck, vivace e dirompente, misto ad una sorta di grunge o comunque di rock alternativo e che implementa risvolti anni ’70. Il risultato è un intero album di tredici pezzi. Su questo aspetto faccio i complimenti ai CAV per il coraggio e la voglia di dare forma alla propria creatività attraverso un’ora di musica; proprio questo aspetto però è uno dei due punti deboli dell’album. Spesso band emergenti propongono lavori con tanto materiale all’interno, quando magari bastava qualche pezzo in meno e un pochino di impegno in più nei confronti di altri. Insomma, qualche canzone poteva anche sparire dalla scaletta. La chitarra è di Gabriele Ghezzi, uno che ha un tocco spigliato ma intriso di energia, fluidità e dalle chiare reminiscenze anni ’70 e non solo. La sezione ritmica è di Andrea D’Angeli, batterista dal tocco dinamico, e Simone Paleari, bassista che si ritaglia il suo spazio e ben si inserisce nel tessuto delle canzoni. La voce di Michela Di mauro è invece il secondo punto debole dell’album. La Di Mauro è brava, ha la voce e sta imparando a gestirla anche meglio, ma il suo inglese è “legnoso” e condiziona la stessa resa vocale. La pronuncia è qualcosa sulla quale deve assolutamente lavorare. Onestamente “Night and Rage” ha catturato la mia attenzione e l’ho ascoltato diverse volte perché ero convinto che la band avesse un nucleo di energia e forza interiore (nelle canzoni) davvero genuine, oltre a voler chiarire se i pochi punti di critica erano esatti. I pezzi più accattivanti sono “1967” che già nel titolo lascia intendere a quale tipo di rock si avvicina, ma senza orpelli psichdelici, qui c’è rock zeppeliano diretto. L’andatura avvincente e quasi funkyeggiante di “Go Away”, il sentimento di “Electric Blue Eyes”, brano parzialmente acustico, “Jack The Fat” non mi piace, ma ha quel genere di ritornello che poi ti si pianta nei neuroni; restano poi la soave e rude “Tribute”, “Lonelines”, per la quale vale parzialmente il discorso di “Jack the Fat” e la durissima “War”. Capaci di mettere in mostra un rock potenzialmente di qualità, i Chains & Visions devono lavorare, è il destino dei debuttanti, ma devono farlo su pochi e precisi aspetti.

(Alberto Vitale) Voto 6/10