(Underground Symphony) Dopo un passato come cover band e una prima incarnazione poco fortunata, i bresciani Chronosfear esordiscono con un album di symphonic power metal che rispetta il canone Underground Symphony: sonorità reminiscenti dell’inizio dei 2000 (o forse anche della fine dei ’90), molte tastiere, molta melodia, per una ricetta che dovrebbe piacere già di suo a tutti i fan di Sonata Arctica, Stratovarius, Labyrinth, Rhapsody of Fire e compagnia. Vediamo allora la scaletta, che allinea dieci brani più intro per circa 56’ di musica: un minutaggio leggermente inferiore avrebbe forse evitato qualche piccola prolissità, ma in “Chronosfear” c’è poco di cui lamentarsi… La cristallina “The Gates of Chronos” ha delle ottime linee vocali (il singer è Filippo Tezza, che MetalHead ha già incontrato molte volte, l’ultima per il suo progetto solista), qualche passaggio strumentale ai confini del progressive, e un mood che fa pensare, oltre che ovviamente ai Kamelot, ai primissimi Vision Divine. Molto ispirata e variopinta “Symphonies of the Dreams untold”, brano in cui il prog prende forse il sopravvento sul power; “Faces” è la canzone, incalzante e a tratti gloriosa, che assomiglia di più alle cose soliste di Filippo. “Innocent and lost” è una ballad accorata e coinvolgente; trascinante “Time of your Life”, per la quale, se il sound fosse stato più boombastico, avrei fatto il nome dei Sonata Arctica. Il brano contiene peraltro un’altra ottima linea vocale di Filippo, che si conferma il ‘valore aggiunto’ a questo disco. Con la conclusiva “Homeland”, che si esprime in acustico, abbiamo la quadratura di una eccellenza italiana da tenere in alta considerazione. Annotatevi il nome!

(René Urkus) Voto: 8/10