(Autoproduzione) Aspettavo questo nuovo album dei Cryptopsy, da quando ho ricevuto il primo comunicato stampa che ne annunciava l’uscita. Ben tornato a Jon Levasseur (chitarrista) che diede un taglio con la band dopo “And Then You’ll Beg”. Tutto quadra in questo album che suona Cryptopsy al 100% perché niente è fuori posto. I maestri ci sono e, forse, rispondono con rabbia e classe a tutte le critiche che li hanno accompagnati dopo “The Unspoken King”. Legittimo criticarli, vista la virata verso un sound non propriamente loro. Un sound che avvicinava i Cryptopsy agli altri e non il contrario, come è sempre stato. Tuttavia questo è un rischio il quale tante band, anche note e storiche, hanno voluto correre ad un certo punto della carriera. “Cryptopsy” è il titolo scelto per questa nuova opera, quasi a voler sottolineare che loro sono solo quello, appunto i Cryptopsy. Coloro che costruiscono canzoni su blast-beat spietati, massacranti, identici ad un incrocio tra un martello pneumatico, una trivella e un elicottero da guerra, mentre il riffing si rivela il dannato ringhiare di una bestia infernale. Non mancano squarci di linearità, quasi che le chitarre di Donaldson e Levasseur vogliano inchiodare per un lembo la trama delle canzoni nella testa dell’ascoltatore. Date un ascolto alla jazz improvviso di “Red-Skinned Scapegoat”. Il resto delle cose lo fa il growling di Matt McGachy e il basso del nuovo Olivier Pinard (Neuraxis). Il risultato finale è quello di sempre: death metal puro, prodotto in modo perfetto, pulito nei suoi schemi, ma dall’aspetto di una violenta tortura e che suona dannatamente Cryptopsy. Niente di più. Volevate altro?

(Alberto Vitale) voto: 7,5/10