(Trollmusic/Spkr) Ad otto anni dal debutto, torna il duo anglo-svedese composto dal blackster Andreas Pettersson (Armagedda, Saiva, Stilla) e dal batterista Johan Marklund (Stilla, Sorgeldom). In verità il progetto non è più da considerarsi anglo-svedese, in quanto la parte inglese, ovvero il cantante dei Fen, F. Allain, presente nel debutto non fa parte più dei De Arma (che quindi all’epoca erano un trio), un’idea goth-post rock/atmosferica nata nel 2009 ed affacciatasi sulla scena proprio con uno split assieme ai Fen, “Towards the Shores of the End”. Se consideriamo, tuttavia, che De Arma è un’idea di Andreas Pettersson, sembra che il cerchio si chiuda perfettamente con il suo prendere possesso del microfono, dando vita a testi più personali, oltre che alla quasi totalità delle composizioni. La sua voce, qui, è lontana da quella che sentiamo per esempio con gli Stilla, visto che si tratta di un clean molto corposo, decisamente dark, uno stile che riesce ad avvicinarsi a quelle malinconie tipiche di Katatonia, Anathema e Paradise Lost. Brani molto intimi, pregni di solitudine, ricchi di introspettiva, arrangiati con maestria, curati nei minimi dettagli, capaci di trasmettere sentimenti puri e travolgenti. Subito pulsante e travolgente la opener “Pain of the Past”, mentre il goth metal di “City Vultures”, sotto sotto nasconde idee black qui esposte con una imponente suggestione melodica. Intima e toccante “Illusions of Love”, brano che ospita la bellissima voce femminile di Maria Oja (la fotografa che ha lavorato con la band in occasione dell’album di debutto), ricercata e malinconica “Funeral in My Brain”, brano con un’ottima performance vocale di Pettersson, grintosa ed intensa “Horror in the Dark”. “Days of Judgment” esplora un dark metal più graffiante, prima della lunghissima e conclusiva “You Were Blood”, la quale divaga con intelligenza ovunque: dal post black metal, al rock gotico, fino ad interessanti groove più legati ad un rock non di nicchia. Dal rock al metal, dal synth al doom, un senso gotico superlativo, con divagazioni verso qualcosa di più aggressivo. Andreas Pettersson ritrova se stesso ed offre un album riflessivo, capace di guardare con un amalgama di pessimismo misto ad ottimismo verso un incerto e nordico futuro. Un album esalta la solitudine in qualsiasi sua forma, un album apparentemente cupo, ma capace di mostrare una luce intensa, attraente, verso una rinascita, verso qualche forma di salvezza.

(Luca Zakk) Voto: 8/10