(Lucifer Rising Records) ‘Dieci’. Numero magico. Numero triangolare. Numero noncototiente. In matematica ‘dieci’ è tante altre cose. O forse è solo un numero. Poi la matematica è una materia anche simbolica, quindi il dieci ‘comune’ ha un valore completamente diverso in altri sistemi numerici. È solo una raffigurazione. Una rappresentazione di un qualcosa… e quel qualcosa è il suo vero significato, il quale è a sua volta soggetto ad interpretazioni: esotericamente, per esempio, il simbolismo legato al dieci è complesso, profondo, contorto. Sicuramente magico. Infinitamente mistico. Tutti argomenti oggetto di profondi studi da parte di personaggi quali Steve Sylvester, studi che nel suo caso lo ispirano profondamente, lasciando poi che queste ispirazioni si facciano travolgere, amalgamandosi, dalle altre sue passioni ben note, film e fumetti di particolari generi compresi. Ma all’ascoltatore qualsiasi, occasionale o meno, fan fedele o meno, queste profonde divagazioni filosofiche servono a poco: sono del parere che quando si osserva un dipinto d’autore, poco contano le emozioni, le ispirazioni, le deviazioni mentali, le perversioni o le notti insonni che hanno guidato quella mano e quel pennello su quella tela. L’unica cosa che conta è l’emozione trasmessa, l’energia che l’arte riesce ad emanare e, soprattuto, i meccanismi che riesce a scatenare nel suo fruitore. Ed io, voi, noi… davanti a “Ten” dobbiamo solo capire cosa questo decimo lavoro sia in grado di regalare, quali emozioni in noi dormienti possa svegliare, quali incubi notturni possa alimentare, mettendo davanti l’unica dea che ci porta tutti ad ascoltare, scrivere, discorrere di questo argomento: LA MUSICA. Una band che si avvicina ai quarantacinque anni di storia capitanata da un uomo senza tempo, che non invecchia, non ringiovanisce, che non cambia, che sembra non provare alcuna emozione o attrazione umana… se non quella per la linfa vitale caratterizzata da quell’odore unico e da quel colore magnetico. Una band popolata da artisti complessi, contorti, impenetrabili e maledettamente capaci, geniali. Una band circondata da collaboratori (performer, compositori, artisti visuali) di un certo spessore e livello. Un manipolo di menti geniali che con “Ten” porta avanti il cammino lungo un sentiero sempre più oscuro, reso arduo e irto dalla vita, dalla storia, dai tempi moderni, dalle epoche e dalle assurdità del genere umano. Ma vogliamo parlare di Musica, giusto? Potente, heavy ma anche occulta “The Black Plague“, intensa e catchy “Zora”, favolosa “Under Satan’s Sun“, in qualche modo -con mio intimo piacere- il punto di connessione attuale tra certe sonorità dei Rammstein e il periodo di inizio millennio dei Death SS (“Panic” e “Humanomalies”). Chitarra favolosa sull’heavy metal dal remoto gusto ottantiano di “Rebel God”, mentre è un altro capolavoro l’oscura “The Temple Of The Rain”, brano con elettronica geniale, quel sentore dark wave che non vuole ammutolirsi e che porta ad una ipnotica tendenza verso il regno di “The 7th Seal”. Aggressiva e violenta “Ride The Dragon”, suggestiva la bellissima “Suspiria”, brano inquietante arricchito da violino e, soprattuto, da quella erotica fisarmonica resa ancor più teatrale dalla performance vocale lirica di Simona Fassano. Fuori dagli schemi il capolavoro intitolato “Heretics”, brano dal gusto bluesy, southern, soul e pure un po’ gospel… tanto che mi viene in mente il meraviglioso lavoro di Dave Porter per la serie TV “Preacher”. Tuonante e sorretta da linee melodiche irresistibili “The World Is Doomed”, prima dell’epilogo rappresentato dal groove pulsante e liberatorio di “Lucifer”. Un album tutto nuovo che comunque allude a riepilogare la lunga carriera della band; ed è proprio questo il fulcro dell’espressione musicale di “Ten”! Quando una band è in circolazione da diverso tempo ha due vie maestre da seguire: ripetersi all’infinito, o rinnovarsi costantemente… con i conseguenti rischi presenti lungo entrambi i cammini. I Death SS, invece, scelgono una via alternativa, sinistra, poco battuta, riuscendo per la decima volta a dare vita ad un album completamente diverso, pur rimanendo senza alcun dubbio un album con l’aura mistica dei Death SS. Quindi: “Ten” è bello? È migliore di “Rock ‘n’ Roll Armageddon” (qui)? Supera “Resurrection” (qui)? E come si pone nel confronto con gli altri sette peccati capitali? Domande stupide. Senza senso. Chi si pone domande simili non ha capito nulla dei Death SS e, forse, non merita nemmeno di approfondire l’argomento… a costoro basta un paio di singoli da buttare nella playlist riprodotta in cuffia facendo qualcos’altro. Per gli altri? “Ten” può piacere. O può non piacere. È quel dipinto che sta bene in una stanza, con quell’arredamento, e quella tela che non può stare in quell’altra stanza, con quell’altro arredamento. È un quadro che si colloca in un punto della stanza, piuttosto che in un altro, perché la sua resa dipende dalla luce, dall’illuminazione artificiale o naturale, dipende dal giorno, dipende dalla notte. Dipende da un momento nel tempo in una di quelle stanze, una tra le migliaia disperse lungo gli infiniti corridoi della mente umana.

(Luca Zakk) Voto: 10/10