copdebauchery(Massacre) Professor Gurrath mi spiace, ma stavolta il voto per lei è basso. Thomas Gurrath, la mente del monicker Debauchery, opta per un death ‘n roll sicuramente ben calibrato nei suoni ma tanto anonimo in alcuni pezzi e troppo scontato per alcuni riff e ritmiche che spesso e volentieri riportano alla mente idee altrui (in particolare mi sembra di scorgere continuamente i Six Feet Under), derivazioni e influssi fin troppo prevedibili. La saga del cattivo gusto in “Kings of Carnage” è in piena regola, più per pacchianeria splatter che per chissà cos’altro, con Gurrath che riprende tematiche a sfondo sessuale e truci e supportate da foto con donne procaci e ricoperte di sangue, che imbracciano armi e utensili da film horror, segni di violenze e di pazzia e tutto il resto. Uno scenario tipo fenomeno da baraccone, anche se nel metal certi look, tematiche e modi di presentarsi sono usuali. Niente di nuovo, niente di veramente sconvolgente, anzi forse c’è più ironia, c’è presa in giro, c’è voglia di scherzare ma andando sul pesante. Legittimo, visto che Thomas Gurrath è stato (non so se lo è ancora, comunque è roba di anni fa) docente di filosofia in una scuola e messo sotto accusa di essere un cattivo esempio per i propri alunni, a casua delle sue “prestazioni” musicali espressamente violente. Restringendo il campo delle analisi nettamente sulla musica, si riscontra un songwriting fatto di molti passi prevedibili, già sentiti, spesso uguali a certe cose già suonate dai Debauchery stessi, il risultato non è qualcosa di sgradevole ma altamente banale. Si, il problema fondamentale di questo “Kings of Carnage” è la sua massa compositiva che raggiunge una fase critica dove si ha la netta impressione che l’autore e i musicisti che lo affiancano, abbiano messo insieme delle ovvietà stanche e stravecchie. E’ per questo motivo che “Kings of Carnage” sembra un lavoro segnato dal tempo, sospeso in una corrente stilistica consumata. Potrebbe essere un lavoro di otto anni fa, potrebbe sembrare un death metal reso nel verso dell’hard rock o dell’heavy classico (la title track è un esempio palese) macchiato da sonorità più abbordabili, non violente, ma solo gonfiate da suoni possenti e da una voce in growl tanto per prestare fedeltà e senso a copertine e foto e testi sessuomani e violenti. Poco servono alcuni flebili risvolti industrial, oppure alcune linee di chitarra tra l’heavy metal tedesco e la NWOBHM, anzi l’effetto è quello di aggravare il pessimo risultato. L’ascolto mette in mostra una serie di cose già sentite e di ovvietà che alla fine dell’album ci si dimentica facilmente.

(Alberto Vitale) Voto: 5,5/10