copDESERTLORD(Under a Serpent Sun Records) Potentissimo progetto che tuona dalla Finlandia. Doom, stoner, rock, melodia, suoni magnetici. Un metallo rovente, diretto, molto curato ed elaborato, ma brutale, doloroso, spietato. Sampo ha una voce grintosa, potente, graffiante, capace di lasciarsi andare verso il growl a piacere, mentre la sua band, gli altri tre, creano strutture musicali coinvolgenti, con una ritmica sempre dinamica, presente, importante: una band che usa chitarra, batteria e basso tutti assieme, tre strade diverse bene delimitate che convergono in una struttura molto intensa e piacevole. La loro musica, sempre coerente e ben sviluppata, offre spunti che a volte fanno pensare a cose oscure, ad un doom criptico, ma altre volte si sente rock tradizionale, psichedelico… fino ad arrivare a riff che hanno quel delizioso sapore che è presente nell’intramontabile musica degli Iron Maiden. Le canzoni sono lunghe, intense, piene di sviluppi, di complesse varianti, lunghe sezioni strumentali, il tutto in grado di innalzare di molto il livello del disco. “Forlom Caravan” apre il disco con rabbia e grinta, offrendo alla fine un vasto spazio dedicato a evoluzioni strumentali che sulla seguente “Wonderland” diventano più profonde per esplodere sulla lenta ed intensa “Expanding Egos”, probabilmente un piccolo capolavoro nel capolavoro. “New Dimension” mantiene la pesantezza doom, ma divaga verso suoni più aperti, più speranzosi, più sognanti ed orientati a terre senza fine. E pazzesco notare con quale scioltezza i Desert Lord partono per la tangente, esplorano suoni diversi, giocano con la musica, creano atmosfera per poi tornare a regole più metalliche: lo sanno fare con disinvoltura e assoluto genio, riuscendo a catturare l’attenzione dell’ascoltatore che ad un certo punto perde l’orientamento e si lascia trasportare dalla magia. Ed è proprio la magia quella che apre “Manic Survivor’s Song”, una canzone oscura, lenta, melodica, acustica… che verso la metà della lunga durata esplode in un tripudio di assoli, offrendo poi un’alternanza tra oscuro e pesante. La conclusiva “Become Aware” ricorda i Black Sabbath, ricorda gli anni ’70, sparge quel feeling vintage meraviglioso che chiede di essere inciso solo su un sensuale vinile. Non c’è riff che non catturi l’attenzione, non c’è assolo che risulti scontato, non c’è alcuna impostazione vocale ovvia, non c’è canzone che non proponga materiale che qualsiasi altra band userebbe per scriverci quasi un disco. Ma questo è solo il debutto, hanno solo un EP alle spalle, uscito nel 2011. E non sono famosi. E le loro pagine social hanno pochi seguaci. E francamente io mi chiedo il perché… mentre “To The Unknown” tuona dall’HIFI a volumi disumani.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10