(Sleaszy Rider Records) Provengono nientemeno da Israele, i Desert, e devo dire che il palcoscenico mediorientale sta cominciando – con fatica – a interessare qualcuno anche dalle nostre parti. Almeno per quel che riguarda i generi classici le band della Terrasanta sembrano ignare degli ultimi sviluppi della scena europea ma questo si traduce, anziché in un danno, in un vantaggio, perché la loro musica suona più pura, incontaminata e legata ai più genuini stilemi del metallo tradizionale. Band come i Desert, insomma, sembrano riuscire senza problemi a proporre un heavy metal vintage che noi europei ricreiamo con studiata professionalità e con intento dichiarato. I suoni di “Star of delusive Hopes” sanno di anni ’80 lontano un miglio, soprattutto per le keys; lo stile teatrale del singer Alexei Raymar rende il tutto ancora più interessante, anche se la definizione “power/epic” con cui i nostri si presentano è sicuramente fuorviante. Questo, infatti, è sicuramente un disco sui generis, con i suoi pregi e i suoi difetti: ma mi riesce difficile paragonarlo a qualcos’altro che conosca, perché ci trovo in egual misura heavy metal classico, power sinfonico, e addirittura suoni gotici. A dire il vero l’iniziale “The Unsubdued” non sfonda perché ha il ritornello un po’ monocorde. Bene invece gli influssi mediorientali in “Massada will never fall”, brano dedicato al simbolo della resistenza ebraica al potere di Roma. Il disco migliora ancora con “Letter of Marque”, serrata nella strofa e melodica nel refrain, che si conclude con una maestosa ripresa finale di quest’ultimo. Barocco e straniante il mid-tempo “Release me”; l’unico pezzo veramente epico è “Lament for Soldier’s Glory”, dove non a caso è ospite Joakim Broden, perché “Whispers” sembra assurdamente ricordare più qualcosa della Neue Deutsche Härte che i Blind Guardian. Si chiude con la titletrack, dal mood più classico e serrato. Sicuramente un’esperienza particolare che chi scrive giudica assolutamente positiva.

(Renato de Filippis) Voto: 8/10