(Nuclear Blast Records) I Cavalieri dell’Apocalisse non pubblicano certo un album ‘qualunque’ con questo ‘I Cavalieri Divini’. Ma è davvero un album? È una raccolta? Un bootleg ufficiale? Lascio a voi la scelta, ma in questi tempi decadenti la cosa più palesemente visibile è un aumento della creatività degli artisti, i quali si avventurano attraverso nuovi territori, territori inesplorati, decisamente speciali. Se poi questi artisti sono i già eclettici Die Apokalyptischen Reiter, allora si ottiene sicuramente qualcosa di… tanto estremo quanto unico. “The Divine Horsemen” è, effettivamente, un album di musica inedita, nuova, è pure un lavoro molto corposo (un’ora e venti), ma non si tratta di un live (o quasi), di una ri-registrazione o qualcosa del genere pensato per mandare avanti la baracca, per pagare le bollette. No, “The Divine Horsemen”, il quale celebra i venticinque anni di attività di una band con una line up abbastanza stabile nel tempo, è un esperimento musicale molto originale: una sessione di due giorni in studio tenutasi lo scorso autunno, con registrazione diretta, immediata, senza ripetitivi take, senza sovraincisioni, senza prove o innumerevoli tentativi. Per fare questo il quintetto, gli ingegneri del suono e qualche amico, si sono rinchiusi in studio per mettere ‘su nastro’ ben 500 minuti di musica improvvisata, senza prove, senza alcuna predeterminazione dal punto di vista stilistico: metal, black, doom, tribale, ambient, tutto quello che è passato per la testa, come dimostra la opener “Tiki” con il suo incalzare selvaggio, un death metal che va alle radici dell’umanità evolvendo con fare psichedelico e deviato. Contorta e ricca di flash accecanti “Salus”, tra punk e metal moderno “Amma Guru”… brano che chiude il terzetto di pezzi di breve durata per dar spazio all’imponente “Inka”, una canzone suggestiva, quasi ambient, molto oscura, remotamente jazzy. Piena di fretta violenta “Nachtblume”, etnie orientali in chiave priva di luce con la vibrante “Aletheia”. Lunghissima “Duir”, dall’ambient ad un metal sinfonico e trionfale, introspettiva “Children Of Mother Night”, “Uelewa” appare maliosa e folk in chiave dark, mentre la breve e violenta “Haka” conduce nel labirinto privo di luce naturale rappresentato da “Simbi Makya”, brano ricco di organi, di suoni vintage, di energia intramontabile. Punk e dark wave si abbracciano con “Wa He Gu Ru”, tendenze nu-metal melodico esplodono con “Akhi”, mentre un’anima dannata e devota al black di matrice sinfonica emerge sulla favolosa “Ymir”, preludio alla conclusiva “Eg On Kar”, brano in eterno crescendo, capace di sferzate metal affiancate ad un rock progressivo intensamente avvolgente. Senza confini stilistici e nemmeno linguistici. Se per davvero hanno creato questo lavoro senza prove, senza ritocchi e senza il consueto lavoro in studio, allora la banda dell’apocalisse segna un ennesimo centro, sale di un ulteriore gradino (o due) e si conferma una entità suprema generata da qualche apocalittico conflitto divino, provenendo da un portale che trasporta comuni mortali verso l’immortalità eterna!

(Luca Zakk) Voto: 9/10