(Peaceville Records) Dopo otto anni torna la suprema espressività della mente artisticamente perversa di Vicotnikm, il mastermind di questa diabolica creatura, questi norvegesi Dødheimsgard -comunemente chiamati DHG- alla vigilia del loro trentesimo anno di attività. “A Umbra Omega” (recensione qui) fu un capolavoro, l’ennesimo innalzamento di livello per una band che è sempre stata più avanti di tutti coloro che si sono sempre reputati più avanti, quasi il traguardo irraggiungibile -una meta divina- per tutti gli altri mortali. L’ennesima prova, la sesta, non delude e, generando ancora una volta stupore, mette in evidenza quella genialità compositiva capace di prendere i livelli finora raggiunti e calciarli in avanti, lontano, fuori dal campo visivo, fuori dall’ambito immaginabile e prevedibile. Tutto ruota attorno al sogno: il sognare, ovvero l’ambito della realtà astratta, diventa lo scopo, mentre la materia, ovvero la realtà fisica, diventa il tessuto sul quale ricercare e realizzare lo scopo. È questo concetto che viene approfondito ed analizzato in questo disco, partendo dalla misteriosa e sconfinata copertina (di Łukasz Jaszak), dentro nelle nove imponenti tracce che scandiscono questi settanta minuti di arte allo stato puro, concepita analiticamente e filosoficamente, smaterializzando ogni pensiero cognitivo verso uno stato etereo, il quale viene poi descritto, classificato e dimostrato nuovamente con l’ausilio della ragione, del pensiero ponderato, della coscienza. È il sottile confine che evidenzia la distinzione tra l’automatismo ed il determinismo dell’IO umano e dei suoi stati d’animo, specialmente quelli più destabilizzanti come l’ira, l’angoscia o perfino la gioia: sono stati d’animo che si attivano automaticamente in certe condizioni o sono reazioni istintive, vie di fuga mentali, uno sfogo psicologico, un qualcosa che nasce spontaneamente senza una predeterminata regola di base? “Black Medium Current” si inoltra dentro tutto questo, esigendo una ampia apertura mentale, richiedendo la capacità di lasciarsi andare, imponendo l’abbandono mentale necessario per godere della favolosa bellezza di questo album, sia nel suo maestoso insieme, sia scomposto negli infiniti dettagli che lo strutturano, come le progressioni elettroniche, i cambi repentini e ai limiti della logica (ma non del sogno!), gli strumenti addizionali come il piano, il violoncello, il flauto o addirittura il Theremin. Teatralità. Chitarre libere da regole. Elettronica a tratti grandiosamente suggestiva. Linee vocali di ogni tipo, spesso con sublimi tendenze schizoidi. Un album che ruota attorno ad una idea non mentale ma astratta, lontana dalle definizioni, capace di esistere al di fuori della mente, della psiche, del pensiero cognitivo. Un’idea maestosa. Una dimensione sonora che si estrapola dalla sua stessa creazione raggiungendo uno stato superiore, vivendo una vita propria.

(Luca Zakk) Voto: 10/10