copDresdaCode(autoprodotto) EP di debutto degli italiani Dresda Code (ex Aeonfire), i quali dal 2007 riescono finalmente a giungere alla produzione discografica con questa release che trasuda un metallo old school, un po’ deviante verso confini con un thrash, con idee decisamente progressive. Ma le direzioni, i generi qui un po’ decadono considerando proprio il bellissimo atteggiamento vecchia scuola, quando eravamo vicini alle origini, quando non c’erano decine di varianti, quando il metallo era rovente , semplicemente qualcosa di potente, tagliente, graffiante. Le cinque tracce sono anticipate dalla copertina di Roberto Toderico, artista noto già per aver dato un’immagine a lavori di -tra gli altri- Tygers of Pan Tang e Sinister. E sono cinque tracce toste, possenti, cariche di energia… ma anche capaci di celare delle inaspettate sorprese. “Deadwood Tales” è lineare. Dei riff tradizionali. Un cantato quasi scontato. Aspetti negativi? NO! Anzi! Finalmente del metallo vero, puro, senza cazzate pseudo-gotico-oscuro… sette minuti di heavy metal mai troppo veloce, sempre ricco di melodia, perfetto per smuovere, scuotere, svegliare. La sequenza di riff storici messi in fila è un richiamo nostalgico decisamente fantastico, ed è ovvio chiedersi: dove’era finita questa roba? “Shilla” provoca: rimane quel metallo, ma arrivano componeti remotamente prog… i tempi non sono più lineari e si percepisce che qualcosa di molto strano sta per succedere. Ed infatti segue “Bateria”. Pezzo che non so classificare, giudicare. Sostanzialmente un assolo di batteria, con una marcata deviazione tribale. Quasi tre minuti fuori da ogni regola, ma assurdamente irresistibili! All’arrivo di “Blindness” si intuisce che quella traccia era forse una introduzione ad un riff malvagio, sempre spudoratamente tradizionale (scuola Slayer!)… il quale evolve spostando completamente la direzione su un prog metal ricco di atmosfera ed emozione stilistica. La metamorfosi è completa con la conclusiva “Clouds Upon My Isle”, pezzo molto più bilanciato tra potenza e tecnica, ricercatezza melodica e coinvolgimento ritmico. Fatico a capire se i Dresda Code siano privi di direzione artistica ed ancora impegnati ad attingere dalle bands che li hanno ispirati (naquero come cover band, infatti). Ma il risultato parla chiaro: un EP che apre con un metallo, che non può essere ignorato dai tradizionalisti, il quale accompagna per mano, quasi dolcemente verso altri territori. Stavi facendo dell’headbanging e all’improvviso ti rendi condo che stai sognando con melodie intense, curate e assolutamente destinate a crescere ed evolvere. Una sensazione fantastica. E se vengono dei dubbi? Semplice. L’ultimo minuto dell’ultima canzone torna a farvi scuotere le vertebre. Questa è una cosa geniale!

(Luca Zakk) Voto: 7,5/10