(code666) Metà album con sonorità doom, decadenti e improvvisi spunti black metal. Poi c’è l’altra metà che si rifà al black metal classico. Perché non fare due album distinti e separati? La freddezza di questa band islandese sembra avere una logica che mi sfugge e forse è un mio limite, ma “Sem Skuggin” non mi suona con linearità. La prima metà di questi 75′ totali gioca a salire e scendere di umore, tra suoni ombrosi, gelidi e tormentati. L’album del resto è una disquisizione concettuale sul declino dell’umanità e la sua depravazione, in relazione con il fatto che i contrasti dell’umanità sono un breve momento storico rispetto all’eternità e all’età dell’universo. Beh, quasi mi fanno rimpiangere di non sentire le solite storie mitologiche su Odino. Niente testi per me, nel promo, ma sono sicuro che la musica ne sottolinei bene i significati. I primi tre brani dell’album sono di quasi 9′, quasi 16′ e oltre i 7′ e offrono una cupa visione delle cose, con suoni davvero rassegnati su andamenti doom o black metal lacerante, ma dal passo sempre affaticato. “Stillt”, quasi 3′ e mezzo segna lo spartiacque, con la sua prima sezione acustica e un crescendo in low tempo con distorsioni molto vibranti. Sicuramente il momento migliore fino a questo punto dei Dyinfari. “Augnablik” è black metal sconquassante, basato su tre velocità principali, ma che è stato inspiegabilmente portato a oltre 8′ di durata. Troppo. La title track è divisa in due parti, una di oltre 15′ e l’altra di quasi 6′. E’ davvero inquietante, poderosa, una dilatata nenia della morte. Il brano è diviso in più sezioni e con pochi ascolti diventa subito famigliare. Chiude il sipario “Eilífð”, sommessa e uggiosa espressione di sola voce, basso e chitarra. Ideale outro dell’album. Non conosco il precedente omonimo del duo islandese, ma Jón Emil e Jóhann Örn è come in questo lavoro abbiano fatto qualche tipica mossa da debut album. C’è troppa roba, troppe cose slegate, troppo di troppo. Nel complesso il sound mi piace, quell’attitudine di malessere oscuro che ricopre come una patina le composizioni è assimilabile, ma la struttura dei pezzi è un’evoluzione decisamente affaticata. Ridurre il minutaggio dei brani non significa solo renderli più fruibili, ma anche eliminare scorie e cosucce delle quali un pezzo può anche viverci senza. Le atmosfere dunque ci sono, ma si resta soffocati.

(Alberto Vitale) Voto: 6/10