copeleventhhour(Bakerteam Records) Ottimo esordio per gli Eleventh Hour, band giovane (fondata nel 2014) ma incredibilmente sicura dei propri mezzi, e soprattutto capace di una proposta originale. Dopo una intro spaziale, “Sunhine’s not too far” colpisce per la potenza del sound e per la commistione dei generi: un power/prog dalle tinte fantascientifiche, ma che tiene dentro tastiere affascinanti e un violino quasi folk. Sorprende poi trovare subito la ballad: “Here alone” scherza con l’ascoltatore (il bridge assume tonalità da western!), ma è capace comunque di raggiungere un alto livello di coinvolgimento nel finale, grazie alle linee vocali sovrapposte del sempre eccellente Alessandro Del Vecchio (che qui si occupa pure del missaggio). Un progressive più classico, ma sempre convincente, per “All I left behnind”; delizia con passaggi neoclassici “Jerusalem”, mentre “Sleeping in my Dreams”, la seconda ballad, si concede addirittura degli archi. Stupefacente la sezione strumentale di “Long Road Home”, sospesa fra ambient e musica da soundtrack; “Requiem for a Prison” è un altro caleidoscopio di emozioni, che passa da momenti veloci a passaggi d’organo di elevata atmosfera. Trionfale il refrain di “After All we’ve been missing”, canzone che chiude l’album di nuovo su atmosfere più classicamente prog. È la grande capacità di songwriting a tenere insieme tutte le svariate influenze, evitando il rischio di un disco dispersivo. Bravi!

(René Urkus) Voto: 8/10