(Ramljod Records) Il folk metal annovera un’ampia schiera di bands e sotto generi. Ci sono folk metallers più oscuri, più o meno folk, con divagazioni più o meno epiche. Ci sono quelli estremamente folk e quelli che includono qualche piccola parentesi folk in un metal che, senza quelle parti, suonerebbe come un ‘comune’ metal appartenente ad altri filoni quali black, power o heavy. Francamente, tranne qualche eccezione, trovo il genere e la sua definizione, un tantino abusata, tuttavia e senza alcun dubbio, sono casi come questi norvegesi che rappresentano una interessante eccezione! Non tanto per l’assoluta originalità (è folk dopotutto!) ma per la resa, l’efficacia, l’energia e l’impostazione decisamente coinvolgenti. “La danza continua oltre la tomba” è un album seducente, provocante, stimolante, un album che si rivela un autentico piacere, ascolto dopo ascolto… cosa non scontata per un debutto pubblicato da una etichetta di proprietà della band e registrato nel loro studio personale, disperso da qualche parte nelle foreste del nord… anche se poi emerge che c’è lo zampino di Magnus ‘Devo’ Andersson (Marduk), incaricato della cura del master. Tre quarti d’ora di sublime qualità abbinati ad un booklet di ben ventiquattro pagine, dietro una favolosa copertina. Ma da dove saltano fuori questi musicisti? Presto detto: si sono formati tempo addietro, nel 2005 (!) ma non sono veramente dei debuttanti in quanto annovero personaggi quali Christopher Rakkestad (Ragnarok, Jordskipstyrann) al basso e voce, Carl Engstrøm (Astaroth, Dødsfall, Kvalvaag, Sarpedon, Troll, Moloch, ecc) alla batteria e Martin Langebraaten (Sarpedon, Raven Wing, Frostheim, Solmund) alle chitarre, oltre che a Magnus Wandås al violino dell’Hardanger e Sean Murphy ai flauti. La genialità di “Dansen låter fra graven åter” è il favoloso ed equilibrato mix di musica folk (principalmente norvegese), con forti iniezioni di folk rock classico, divagazioni verso folk metal moderno, il tutto con un magico punto di incontro che continua a sorprendere: un momento si è immersi in melodie e ritmiche provenienti da qualche villaggio dimenticato disperso tra le foreste del nord… poi tutto ad un tratto si sente qualcosa che ricorda gli Iron Maiden, oppure del death metal… ma anche del funk rock, sfiorando perfino remoti concetti psichedelici. Puro folk con suoni che ipnotizzano sulla opener “Bruremarsj”, ma è con la seguente “Hva er en konge?” (‘Che cos’è un re?’, ndr) che entrano in gioco le sonorità metal, i cori ed un groove irresistibile dal sapore meravigliosamente epico, specie verso quel finale più heavy e deliziosamente Maideniano. “Kjenningsvisa” esalta i suoni degli strumenti tradizionali, ma sferza con suoni heavy tuonanti e linee vocali sfacciate e pazzoidi. Intima, romantica e riflessiva “Det grå riket” (‘Il regno grigio’, ndr), mentre la festaiola “Vertshuset Dovregubben” è capace di trasportare in altre epoche riflettendone le sensazioni, gli odori, i colori ed i sapori: dopotutto è la canzone che ispira sia il titolo dell’album che l’artwork, in quanto narra della sventura di un violinista condannato all’impiccagione dopo aver provocato troppe insensate baldorie tra i clienti di una taverna; ma la morte è solo un rito di passaggio, ed il musicista continua a suonare dall’oltretomba, dando un nuovo significato alla magia (del suo violino!). Autentico capolavoro “Trolljuvshallingen”: funky (che basso!) e sfacciatamente irresistibile con quel riff folk circolare ed ossessivo che si stampa in testa, potenziato e ribadito dalle chitarre, in una convergenza tra rock, metal e folk superlativa! Ambient atmosferico su “Tilbake til intet” (‘Ritorno al niente’, ndr), prima del romanticismo suggestivo della conclusiva “Kalde netter” (‘Notti fredde’, ndr). Un album irrefrenabile, impetuoso, magnetico… ma anche ricco di fascino, di magia, di suggestivi scenari antichi e remoti che si materializzano come per incanto davanti agli occhi dell’ascoltatore.

(Luca Zakk) Voto: 9/10