(Season of Mist) Sicuramente lontani dal metal, ma legati da in filo indissolubile con l’oscurità i belgi Emptiness, band che un tempo abbracciava sonorità molto più pesante. Se il debutto “Guilty to Exist” era pura furia e rabbia estrema in chiave black e death, seguì poi una costante progressione fino al quinto lavoro, “Not For Music” del 2017, che li condusse verso sonorità più dark lounge, più misery pop, un percorso che ora si concretizza con questo nuovo “Vide”, un album introspettivo, delicato, ma anche claustrofobico, pensieri di una mente contorta compressi nei limiti dell’esistenza e del mondo che ci circonda. I brani evolvono con lentezza, mi ricordano un po’ i Morphine, un po’ i Massive Attack, con sfumature forse in linea con i Portishead: ipnotica “Un Corps À L’abandon”, tendenze deliziosamente dark wave con “Vide, Incomplet”, mentre “Le Mal Est Chez Lui” è forse il pezzo che più si avvicina ai Morphine, grazie a quei suoni privi di luce, ricchi di basso, di frequenze inquietanti. Teatrale anche grazie alle spoken vocals recitate “Ce Beau Visage Qui Brûle”, musica di gusto soft pop con linee vocali sofferte sull’avvolgente “Détruis‐Moi À L’Amour”. Si percorre un sentiero alternativo e sperimentale con “Plus Jamais”, un sentiero che diventa una passeggiata in una giornata di primavera baciata da un sole morente su “L’Erreur”, canzone con un finale che vira verso l’ambient, verso il noise. “On N’en Finit Pas” è rock oscuro ma accessibile, mentre la conclusiva “L’Ailleurs” unisce sensazioni idilliche e speranzose a linee vocali destabilizzate… verso un finale brusco ed improvviso, imprevedibile… proprio come la morte. In francese, lingua usata per tutti i brani, “Vide” significa ‘Vuoto’: la perfetta descrizione dei tempi moderni e della direzione delle tetre divagazioni sonore evocate dagli Emptiness.

(Luca Zakk) Voto: 8/10