(Avantgarde Music) Il sesto album degli italiani Enisum è un rituale dissacrante, pregno di energia, oscurità e totale devastazione. Mantenendo un forte legame con la loro Val di Susa, legame evidenziato da brani come “Ballad of Musinè” e “Burned Valley”, è però il sottile divisorio tra la vita e la morte che affascina e coinvolge la band piemontese con questo nuovo eccellente lavoro. L’illusione della falena è rappresentata da quella forza che attira l’insetto verso la luce, esattamente come il lumino che illumina il mistero della morte attira l’uomo; ma la falena, spesso, viene ingannata e finisce nel turbinio dei fotoni di una luce falsa, artificiale, priva di vita… trovando la morte ed il conseguente oblio… esattamente come l’uomo che per trovare le verità di ciò che esiste dopo il trapasso, deve affrontare l’inevitabile fine, l’ultimo ostacolo, la morte, ovvero l’unico modo per scoprire una verità tanto forte quanto fragile, una verità che priva per definizione l’individuo del successo della scoperta, a causa dell’ovvia impossibilità relativa al poter raccontare il risultato della scoperta definitiva, primaria, assoluta. Un concetto metaforico forte, deciso, feroce il quale conduce ben oltre il semplice divisorio tra vita terrena ed esistenza post-mortem, trascinando verso l’atroce dilemma, la crudele incertezza che si eleva dinnanzi ad ogni decisione, ogni stile di vita, ogni bivio, ogni presa di posizione. Rispetto ai precedenti lavori, il nuovo album è dannatamente più atmosferico, più incentrato su mid tempo che evidenziano una sofferenza interiore pregna di disperazione, con spunti di perdita della speranza ma anche di amore per la terra, per le origini, per quella preziosa aria fresca e pura che si respira al sorgere di un sole comunque destinato all’estinzione. Crudele “Anesthetized Emotions”, brano con un growl letale ai confini con il DSBM. Inquietante e suggestiva “Where Souls Dissolve”: una tristezza che sovente sfocia in violenza sonora efferata, rivela ritmi micidiali, un growl profondo il quale rende reale l’incubo, poi sconvolto da clean guitars capaci di materializzare il sogno. Stupenda “Afframont”, brano con una batteria favolosa, riff apocalittici superlativi, arpeggi oscuri ed una progressione a dir poco epica. Con la title track e con “Petrichor” emergono clean vocals colme di emozione e spiritualità, tanto da ricordare per certi versi i grandiosi Amorphis dell’era Koskinen. Suggestiva, tormentata e meravigliosamente introspettiva “Ballad of Musinè”, pulsante “Coldness”, melodie irresistibili e progressione incalzante sull’altro capolavoro intitolato “A Forest’s Refuge”, arrivando all’angosciante costernazione della conclusiva “Burned Valley”. Un equilibrio geniale tra sonorità estreme e melodie atmosferiche sempre impostate in una chiave oscura; tuttavia si tratta di un’oscurità con un barlume di ottimismo, speranza, tanto che la totale mancanza di luce rivela con avidità quel pallido bagliore morente disperso in fondo al campo visivo. Quel dubbio, quell’incertezza, quella speranza secondo la quale il destino crudele della falena non è stato comunque già scritto, un destino secondo il quale l’evidente epilogo può essere solo un’altra illusione, un’altra visione distorta di una realtà contorta.

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10