copEudaimony(Cold Dimensions) Mossa perversa. Idea criminale. Subdola. Ed io cado vittima senza potermi difendere, senza poter nemmeno concepire l’embrione di un pensiero. Quando mi avvicino ad un nuovo album, di solito ascolto e poi leggo, in quanto ho un certo peso della priorità… e pertanto mi trovo ad ignorare completamente chi sia questa band. Ok, esiste da un po’, ma è al debutto discografico. A circa 51 secondi dalla pressione del tasto Play vengo colpito, sono la vittima, mentre sulla mia faccia si dipinge un osceno sorriso: quello del carnefice. Vedete, ci sono dischi nella storia del metal che ognuno di noi ama. Quelli che portereste con voi su una astronave in un ipotetico esodo dalla Terra al solstizio di un inverno nucleare post apocalittico. Io avrei certamente bisogno di due astronavi ma sicuramente con me ci sarebbe “Séance” dei Dark Fortress, in quanto adoro quell’oscena atmosfera ed amo la voce di Azathoth (Matthias Jell). E’ pertanto impossibile che la mia mente non esploda quando al cinquantunesimo secondo di questo album sento QUELLA voce, immersa e condannata in QUELLA atmosfera. Corro a leggere le note stampa, cerco, scarico, indago… voglio sapere di più. Eudaimony: Matthias Jell alla voce. Alla chitarra? Marcus E. Norman meglio noto come Vargher dei Naglfar (una band con sicuramente un disco dentro quell’astronave…). Batteria? Jörg Heemann (Thrawn Thelemnar) di Secrets of the Moon ed infine Peter Honsalek (ex Nachtreich) a Tastiera e Viola. Quarantacinque minuti di viaggio introspettivo, di oscurità resa solenne da viola e tastiere. Molta profondità, poca violenza: Matthias devasta con il suo growl lacerante su musiche atmosferiche, ispirate a idee gotiche, doom, sempre e comunque decadenti o pessimistiche. Fantastica la opener “Ways To Indifference”, uno dei pezzi con più componenti metal espresse a livello semplicemente trionfale: il trionfo della morte della speranza, un angoscia crescente che eiacula la sua oscena esplosione sulla materializzazione di “Mute” e “A Window In The Attic”, due pezzi lenti, laceranti, musicalmente molto curati e dettagliati, dove l’esaltazione della sofferenza diventa una forma d’arte moderna e psicologica. La title track riassume le atmosfere espresse nelle precedenti ed assume una forma espressiva che definirei stupendamente marziale, sfociando sulla fantastica “Portraits”, un pezzo pieno di archi e malinconia dove il guest Mick Moss (Antimatter) si esprime con una voce calda, sensuale, piena di poesia. “Cold” torna a toni più duri, torna a remote idee black, torna a melodie che sono un circolo vizioso di peccato e miseria, una miseria che “Godforsaken” trasforma in musica a cavallo tra classica e tribale. Il disco chiude con “December’s Hearse”, dove torna ancora una volta quel sublime mix di musica d’insieme, black metal, doom il tutto con immensa esaltazione del pessimismo, celebrazione assoluta dell’oscurità. Musicisti con esperienza, grandiosi, capaci di trasmettere emozioni, garantire un marchio di fabbrica distintivo. “Futile” è un album che fa male. Che tocca sentimenti profondi, che diffonde testi profondi, dolorosi, che aprono ferite e portano agonia. Dolore: tanto stupendo ed intimo dolore, con un album che ne istituisce la celebrazione rituale

(Luca Zakk) Voto: 9/10