(Folkstone Records) Un titolo fuorviante quello del nuovo album dei Folkstone, perché lascia pensare a qualcosa di bucolico o artistico. Il suo significato è però altrove. I Folkstone pubblicano un album dopo sei anni, con qualche correttivo e ritorno in formazione. I bergamaschi sono il monumento del folk abbinato al rock e il metal nel nostro paese, proponendosi da sempre con modelli di stile validi e un parco testi evocativi, epici e poetici. Cornamuse, arpe, flauti, ghironde e i vari strumenti tradizionali, sono il ricamo e la cesellatura a questi impetuose e travolgente canzoni, nelle quali i Folkstone equilibrano un rock/metal senza esplosioni o eccessi. L’album, ha in effetti una sua marcata patinatura ma vige un’armonia eccellente, sia nelle sue pieghe agili, coinvolgenti con quel tasso di atmosfere ancestrali e festose, quanto in canzoni dai toni più ispirati e narranti. In ogni situazione l’equilibrio tra gli strumenti ‘elettrici’ e rock, sono lo strato sul quale sbocciano le melodie andanti degli strumenti tradizionali. In questo quadro le diverse soluzioni al canto, di Roberta Rota e in particolare, per l’enorme spazio ricevuto, di Lorenzo Marchesi, aumentano le soluzioni e possaibilità nelle canzoni. “Natura Morta” accoglie i contributi dei Modena City Ramblers in “Fragile”, Trevor Sadist in “Mediterraneo”, Daridel in “Mala Tempora Currunt” e i Punkreas in “La Fabbrica dei Perdenti”. Presente anche nell’album una cover, ovvero “L’Ultima Thule” di Francesco Guccini. I testi sono un punto forte di “Natura Morta”, il cui titolo è bene spiegarlo con le parole degli stessi autori: «La nostra “Natura Morta” è uno sguardo perso nella vita, un senso di disordine mistico ed una dose di disillusione nata da una costante ed autocritica riflessione. Il tutto sempre con il sorriso sulle labbra, sempre consapevoli della quotidiana realtà, così meravigliosa e struggente al tempo stesso. Siamo nell’epoca del materialismo spinto. Il nostro vuole essere un urlo disperatamente romantico».
(Alberto Vitale) Voto: 8/10