(Apollon Records) Håkon Gebhardt sarebbe un chitarrista, ma è stato il batterista dei Motorpsycho per una vita. Sarebbe un musicista, ma è rimasto dietro mixer e bottoni vari per tanto tempo. Sarebbe pure un creativo, ma ha collaborato con una infinità di artisti, accompagnandoli per la LORO strada, rendendo difficile percorrere la SUA. Ma ad un certo punto di questa lunga avventura, dopo una carriera di tre decenni, non solo incontra la compagna professionale e della vita… ma si trasferisce nel paese di quest’ultima: l’Italia! Dal freddo di Trondheim al tepore della Toscana, dai ritmi forsennati di una vita professionale intensa… al relax, all’intimità che lascia scaturire l’arte, musica libera, intensa, personale, priva di ogni regola. “Geb Heart” vede la moglie di Håkon, Marì, al basso, li vede assieme per i testi… e poi vede lui impegnato in tutto il resto: la composizione, le chitarre, le tastiere, le batteria ed ogni altro strumento. Håkon anche in produzione, mix e pure creazione del collage della copertina e la registrazione- editing compreso- dei video! “Breakup Breakdown” è potente, un groove ansioso che stuzzica con il suo sentore afoso e desertico. Malinconia in un rock nostalgico con “None of This is Mine”, mentre “That Day” appare frizzante, musicalmente minimalista, con un basso avvolgente e un desiderio segreto di essere un brano punk. Oscura, marziale e un po’ southern la bellissima “I Want to Know”; esaltata da arrangiamenti ribelli la brillante “Monkey Sivert”, irresistibile “Fixing Things”, brano con un incedere pulsante e una melodia vocale assolutamente favolosa. Rock schietto e puro? La risposta è “The Third Song”. Sognante e “Distant Stars”, “Please Don’t Go Away” diffonde una malinconia luminosa che si erige su una una radice folk. “Marìmba Waltz” destabilizza in quanto sembra essere una improvvisazione di percussioni elettroniche… quasi come se Geb volesse ricordare a tutti da dove proviene… con “Marc the Riffer” che vuole essere il livello successivo… ancora improvvisazione di matrice jazzy, con una chitarra libertina ed una linea di basso erotica. Ambient seducente con “Title Track” (non LA title track… si intitolata proprio “Title Track”… così uno non deve andare cercare tra i tredici titoli quello che reca lo stesso nome dell’album)… prima della conclusiva “March of the Tortoise”, traccia che invade territori blues, americana, dark americana… sulla scia dei grandiosi DBUK. Arte libera, spontanea e pure autobiografica… arte che viene letteralmente dal cuore. Stili musicali di ogni provenienza che si mescolano, si fondono tra loro. Un album attraente, rilassante, eccitante, travolgente, ipnotico, provocante… favolosamente magnetico!

(Luca Zakk) Voto: 9/10