(Trollmusic) C’è poco da fare: il black bavarese ha un gusto molto intenso, personale, sempre evocativo, profondo, avvolgente. Nomi come Dark Fortress, Lunar Aurora, Eudaimony o Waldgeflüster, tutti bavaresi, hanno indubbiamente un certo peso sulla scena internazionale e, questi debuttanti Gràb, non sono certo da meno… specie se consideriamo che la parola ‘debuttante’ non è esattamente quella più indicata. Certo, sono al primo disco (anche se si sono formati a metà dello scorso decennio, hanno all’attivo solo un EP, uscito sempre quest’anno, più che altro una anticipazione dell’album), ma sono un duo che vede al microfono Grànt… anche noto come Azathoth, ovvero Matthias Jell, front man guarda caso degli Eudaimony, anche dei Trinitas, oltre che ex vocalist dei mitici Dark Fortress! Con lui il chitarrista Gråin, meglio noto come Blodspan, anche con Blutwald, Gråinheim, Schrat e Schyach, oltre che ex Aegrotationis ed ex Drudensang. Il duo poi si fa supportare dal batterista Seb (Sebastian Schneider, ex Megiddo, ex Sonic Reign) e da un manipolo di ospiti, come P.K. (Abigor) per degli assoli, Schwadorf (Empyrium, Eudaimony, Sun of the Sleepless, ex Autumnblaze ) con i suoi strumenti tradizionali (in particolare il dulcimer), Morean (il vocalist dei Dark Fortress, quello che ha sostituito Azathoth) per voci e chitarra ed infine Paymon (anche lio ex Dark Fortress) alle tastiere, oltre ad altri invitati per strumenti folkloristici. Gràb è un’altra idea di Matthias (come lo sono gli Eudaimony): per questo lavoro ha scritto tutti i testi in un dialetto della sua regione, testi che compongono un concept album basato sulla storia di un vecchio uomo (il moniker della band significa più o meno ‘vecchio e grigio’), un personaggio che si è ritirato dalla società, isolandosi in un capanno nel mezzo delle montagne alpine, luogo che lo ispira nella riflessione sulla lunga vita trascorsa, mentre la morte si rivela sempre più vicina. Musicalmente la band si ispira al black nordico di un tempo, non dimenticando l’intensità emotiva di Nagelfar e (guarda caso) Lunar Aurora, offrendo nove tracce intense, ricche di energia ma anche di passione, di una teatralità intensa e perfettamente in grado di trasmettere la forza della storia. L’intro “Sched oreidig” instaura una atmosfera tetra che esplode con l’ottima “Nachtkrapp”, legata all’infanzia del protagonista: tastiere suggestive, riff taglienti e pesanti, mid tempo incalzante ed una costante evoluzione dal sentore epico. La lunghissima title track regala una immensa malinconia la quale si diffonde attraverso i riff micidiali con una impostazione marziale, sempre tuonante, sempre infinitamente drammatica. Rocambolesche ed aggressive “Weizvåda” e “Nordwand”, quest’ultima arricchita da un cambio repentino il qaule si attorciglia poi attorno al collo dell’ascoltatore dando spazio a vocals corali, parlate (Morean), il tutto in un crescendo glorioso poi interrotto con una violenza inaudita. Black mid tempo tradizionale intensificato da tastiere ricche di atmosfera su “A Dåg im Herbst”, mentre è incantevole la parentesi folk strumentale di “Auf da Roas”, brano nel quale emerge la maestria di Schwadorf con il suo Dulcimer. Furia pulsante e brutalmente brillante con “S’ letzte G’leit”, mentre la storia volge all’epilogo con il black graffiante ma disperato di “A Gråbliacht” (‘la lanterna di una tomba’), il capitolo finale di questo viaggio psicologico e culturale. Black metal che si lega con la terra, con le radici, con la storia. Con quel territorio alpino ricco di fascino, mistero e pericolo, esattamente come gli angoli più reconditi della mente umana.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10