(Nuclear Blast) Trovo impressionante come questa band riesca a fare passi avanti pur avendo un sound retrò e comunque affascinante. Fenomeno prettamente svedese, la band di Goteborg Graveyard non ha tardato a farsi notare. Contratto con la Nuclear Blast e successivi riconoscimenti in patria e all’estero. Il precedente “Hisingen Blues” si è guadgnato tutte le lodi possibili e pensare che l’album in fase di promozione a qualcuno venne in mente di usare l’incomprensibile etichetta di occult rock. No, i Graveyard sono un insieme di cose e in questo album potremmo riassumerlo con  la loro vicinanza a Deep Purple, Black Sabbath, Free ed altri. Anni ’70, anni di fuoco e selvaggi, anni di nascita di tutto il movimento musicale e loro si ispirano a quello. “Lights Out” è comunque un passo avanti. Il sound è sempre energico, e realizzato in totale analogico, ed è l’infusione tra blues, acid rock , hard rock. L’incipit dell’album è affidato alla crescente “An Industry of Murder”, un brano strutturato e fluido insieme, dove il rock aggressivo e ben interpretato dalla voce di Joakim Nilsson (anche chitarra, con Jonatham Ramm). L’atmosfera mi ricorda qualcosa degli Iron Butterfly, ma il comparto ritmico e il riff portante sembrano venire dai primi Hawkwind. “Slow Motion Countdown” è accorata, ma anche un’altalena tra passione e feeling. Struggente, un rock senza tempo e che è oltre ogni schema o forse è lo schema perfetto: melodia che nasce, si sviluppa, s’innalza fino ad un climax, si ferma tutto e di nuovo riprende il tutto. Intanto Nilsson qui sigla la migliore prestazione dell’album. Seguono pezzi più tipicamente blues-rock, energici zeppeliani (“Seven Seven”) e sempre armati di ritornelli ad effetto. “Endless Night” è i Deep Purple più sfrenati, peccato che alla batteria ci sia solo tale Rikard Edlund, un tipo notevole ma non ha il tocco di Paice, ovviamente. Senza però voler sminuire Rikard e nessuno degli altri, il brano è comunque un falso abbastanza riuscito! “Hard Times Lovin'” è un altro momento soffuso, alla Doors. Funziona “Lights Out”, per carica energetica, per i suoni intensi e per come il cantato interpreti ogni singola strofa. I 9 brani sono di classe, forse lo zenit del percorso creativo dei Graveyard e il miglior esempio in giro per capire dove potersi spingere quando si ripropongono in questo quasi 2013 un sound che nasce da un qualcosa di oltre 40 anni fa.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10