(Autoproduzione) I Gravil hanno un curriculum , soprattutto live, tutto sommato di spessore. Han suonato di spalla a nomi grossi e in festival dai nomi altisonanti. Il punto di partenza insomma parrebbe buono. Gli inglesi, messomi ad ascoltare il loro secondo lavoro in studio, mi hanno dato fin da subito delle sensazioni discordanti. Da un lato si è percepita sin da subito la rabbia e l’energia esposte in modo diretto e senza mezze misure. Il cantante indubbiamente ci mette l’anima per sgolarsi dietro al microfono. Un metal moderno, figlio degli anni 2000 e che nulla ha a che vedere con l’hardcore o il metal propriamente detto, se per metal si intende l’heavy; ma ciò che mi ha fatto frenare gli entusiasmi è, come troppo spesso capita, la poca personalità. La traccia di apertura mi ha ricordato fin troppo i Meshuggah nelle sonorità, anche se i Gravil non fanno decisamente djent. Ma il nervosismo dei suoni e l’insistenza ipnotica su certi ritmi serrati è inconfondibile. Già la seconda traccia invece mi ha ricordato molto di più gli In Flames, soprattutto nella melodia inserita tra un riff e l’altro. E poi, un’ombra che aleggia su tutto il lavoro, una certa assonanza con il cantato dei Cradle Of Filth… E’ vero, son tutti riferimenti mai completamenti e spudoratamente copiati, ma è come prendere degli ingredienti alla rinfusa e mischiarli sperando di ottenere un buon sapore. Purtroppo le cose non son così automatiche, ma ripeto che i londinesi hanno davvero tanta esperienza e forse due soli album per generare un suono davvero personale sono in effetti pochi. Per il momento attendo nuovo materiale, ma questo lavoro è in definitiva abbastanza insipido e raggiunge la sufficienza per la qualità di registrazione più che per il resto.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 6,5/10