(Metal Blade Records) Suonano un doom mescolato a death, ma con quelle spruzzate di post metal che ormai rendono sempre più ipnotiche, quanto uniche, queste bands dal remoto nord. E quel doom, quell’incedere lento tipico del genere, si riversa anche sulla frequenza di pubblicazione della band, la quale ha debuttato oltre dieci anni fa, ha fatto uscire il secondo grandioso album sei anni or sono e, solo ora, giunge al terzo full length, un disco profondo, lacerante, graffiante, con voce in growl tuonante e un clean quasi mistico, per narrare le vicende del concept album, il quale tratta di un incidente in mare avvenuto nel 1915, al largo del villaggio di Sandvik (dove abita il tastierista della band, Esmar Joensen) della loro Isole Faroe, incidente che fece perdere la vita a 14 persone durante una caccia alla balena; il fatto ha dato vita a superstizioni, ha assunto una dimensione che va oltre la cronaca, tanto da connettersi in maniera forte proprio con la terra della band, con le origini, fino al moniker stesso il quale significa qualcosa come ‘epifania dei marinai dispersi’. Un disco di una intensità destabilizzante, registrato in presa diretta, capace di una sincerità artistica impressionante, corredato pure da un brano unico, la title track posta in chiusura, la quale su un arpeggio delicato propone la registrazione della voce di uno dei sopravvissuti che narrò i fatti in una intervista, esponendoli enfatizzando chi si è salvato… piuttosto che esaltare la disperazione della tragedia. Ci sono infiniti dettagli nascosti nei brani, nei testi (in lingua madre), nella stessa genesi delle canzoni, fatti che Theodor Kapnas adora condividere. Un disco maestoso, estremamente legato alla band, alla loro gente, alla loro terra, alla loro lingua e alla loro tradizione. Un album che va oltre la musica, che va oltre il doom. Un album che assume la dimensione di riflessione spirituale, di misticismo ricco di folklore, di sublime e sentimentale poesia.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10