(Horror Records) ‘Cult’ è l’unico aggettivo con cui si possa descrivere la prima fatica degli Hands of Orlac, pubblicata solo su vinile (nero o rosso e viola!) dalla danese Horror Records (un nome un programma), registrato in Svezia da Philip Svennefelt, mastermind degli altrettanto cult Helvetets Port. I romani prendono il loro nome da un racconto di Renard (e da un successivo film muto) e suonano – nascondendosi dietro pseudonimi – un occult rock profondamente legato agli stilemi di metà anni ’70, quelli dei Coven, Black Widow e naturalmente i primissimi Black Sabbath. Marce in più sono l’inquietante voce di The Sorceress e il flauto pure suonato da quest’ultima, spesso in grado di rendere spettrale i 40 minuti di questo esordio. Si apre con la traccia autotitolata: suoni cupi, sabbathiani, opprimenti, fino a quando non interviene il flauto a rendere l’atmosfera ancora più estraniante. “Lucinda”, dopo una partenza doom, è leggermente più veloce e chiaramente rock-oriented: sull’ipnotica parte finale l’assolo distorto è un vero gioiello. “Vengeance from the Grave” è costruita in un ammaliante crescendo fino all’inumana sequela di urla strazianti che ‘anima’ (si fa per dire) il finale del pezzo. “Castle of Blood” si apre su una lungo intro in cui flauto e chitarra costruiscono variazioni sulla stessa melodia; il brano è una colata di piombo doomeggiante fino a circa due minuti dalla fine, quando il brano accelera improvvisamente per una chiusa dove si ripete a lungo “eternal damnation”. Il disco si chiude con “Wicthes Hammer”, la cui parte lenta ha un invidiabile aura di decadenza. Negli anni ’70 un disco di questo tipo avrebbe già attirato l’attenzione: oggi è una vera e propria mosca bianca.

(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10