cophate(Napalm Records) E’ difficile proporre qualcosa di sostanziale dopo oltre 20 anni di onorata carriera, però alla fine è importante essere se stessi, sempre. Gli Hate freschi di passaggio all’austriaca Napalm realizzano un nuovo album a tre anni da “Erebos” e confermandosi ciò che sono, una band death metal di scuola polacca. Sono loro, gli Hate. Si riconoscono, non ci si poteva aspettare altro con questo “Solarflesh: A Gospel of Radiant Divinity”. A tratti è un sound oscuro, inquietante, come la copertina, e sempre pronto a sgusciare in blast beat e riffing vorticosi e di natura blackened, ma non mancano le tipiche armonie melodiche nella marea di tensione emotiva ed esecutiva dei quattro. Violenza distribuita con parsimonia e trame melodiche che vengono tese, stirate e scorticate di continuo. Personalmente ritengo che le fasi melodiche sono quelle più interessanti, sicuramente piacevoli e di grande presa. Loro però non sono i Nile e non sono una band death ‘n roll, loro sono polacchi e, dannazione, quelli menano con precisione ed estro. Infatti “Timeless Kingdom” si apprezza per essere la tipica contorsione spietata blackened death metal come dovrebbe eseguirla una band polacca, ma in essa si ritrovano elementi melodici che, è vero, ricordano proprio i Nile. “Sadness Will Last Forever” ha una melodia principale magnifica ed è il brano dalla durata superiore agli altri, con ben oltre 7’. La title track denota una porzione di prog/techincal death metal davvero accattivante. A questo punto devo però sottolineare che su 9 pezzi totali, compresa anche l’intro di quasi 3’ e mezzo (sommariamente ben gestiti), ho la netta sensazione che alcuni brani pecchino di passaggi canonici, come se fossero delle fasi da riempitivo (invece la canzone “Eternal Might” è di per se un riempitivo, buono però l’assolo) e contrastano troppo con i momenti più estrosi che gli Hate sanno offrire. Inoltre gli ultimi due brani, “Endless Purity” e “Mesmerized”, sono abbastanza catchy e tanto da non sembrare farina del sacco della band. Non mi sembrano due composizioni tipiche del songwriting degli Hate e risentono del condizionamento di altri. “Solarflesh” credo sia un lavoro che ha bisogno di qualche ascolto in più perché capitano degli scarti notevoli tra canzoni tecniche e brutali ed altre che non spingono al massimo; la sensazione è che proprio questo possa far storcere il naso ai puristi del genere o a chi (come me) preferirebbe sentire un songwriting omogeneo ma in grado di scalfire. Gi Hate restano comunque una band dalle potenzialità spaventose.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10