(This Is Core Music) Il metalcore è un genere che ha spiccato il volo, già da tempo e riceve consensi, proporzionalmente all’odio che diversi metalheads invece provano nei suoi confronti, soprattutto da chi segue il metal da moltissimi anni. Tuttavia c’è sempre il compromesso, esistono comunque band che camminano sul confine del genere oppure non ne riprendono solo i canovacci tipici. Questa riflessione, condivisibile o meno, potrebbe descrivere il debutto degli Hate Tyler, nati da Marco Pastorino dei Sectret Sphere e Luke J Abbott dei The Ritual e con l’aggiunta di Davide Grillo, Federico Maraucci e una drum machine. Il risultato di “The Great Architect” è metalcore molto pesante, suonato con intensità e groove, e un clima cupo e con un largo uso di melodic death metal e thrash metal. Pur ritrovando i breakdown, sparsi nelle canzoni, e i tipici ritornelli con voce clean, ma non scontatamente laccati e patinati e zuccherini e cretini, gli Hate Tyler denotano un sound corposo, concreto e ricco di variazioni. Elaborano i pezzi, danno loro vita, li fanno crescere e cambiare continuamente d’aspetto, dimostrandosi una vera band metal. A volte esagerano nei continui cambi e variazioni, costringendo l’ascoltatore ad avere tempo per familiarizzare con alcune loro proposte, ma sempre meglio questo che melodie ruffiane e ormai già sostanzialmente sentite. Metal pesante, dalla massa considerevole, un peso specifico che è miscuglio di mercurio e plutonio. Massa critica. Non è solo questione di blast beat che vengono spezzati da breakdown o da riff cadenzati, di groove onnipresente, è anche l’atmosfera greve, piena di pulviscolo contaminato, come già indicato, dal thrash metal, da alcuni spunti estremi e dalla voce di Grillo in sintonia con la migliore tradizione thrash-hardcore. Con gli Hate Tyler non si scherza. Maneggiare con cura.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10