(Cherry Red) Nell’ambasciata londinese degli Stati Uniti s’incontrano Dave Brock e Mike Batt, fondatore degli Hawkwind l’uno e autore e direttore d’orchestra l’altro. Entrambi in loco a richiedere il visto per il paese d’oltreoceano, i due trasformano questo incontro casuale nel trentunesimo album degli Hawkwind. Continua dunque l’inossidabile cavalcata attraverso il tempo della storica band inglese, da anni tenuta in piedi dal solo Dave Brock, divinità quasi umana circondata da fedeli sacerdoti del culto, nel tempo popolato da altre divinità come Lemmy, Nick Turner, Huw Lloyd-Langton. Con “Road to Utopia” la band raggiunge un nuovo limite estremo del tempo, il quale può anche essere qualcosa di relativo, ma gli Hawkwind restano una certezza. Solo nove brani, dei quali sette sono stele di Rosetta del suono estratte dall’immensa discografia della band. Brani riveduti e corretti dagli Hawkwind e da Mike Batt, attraverso un quintetto d’archi e uno di sassofoni oltre a degli ottoni, il tutto rinasce attraverso una seconda vita. “The Watcher” è trasformato in un blues armonizzato da acustiche, pianoforte suonato da Batt, arrangiamenti, la chitarra di Eric Clapton e l’armonica di Dave Brock. Il tutto offerto da Lemmy Kilmister, perché la canzone fu la prima che scrisse per la band e la ripropose anche con i suoi Motörhead. “Down Through the Night”, introdotta da una strumentale intitolata “Intro the Night”, vede sprazzi di archi e fiati con arrangiamenti nuovi, ai limiti del soul e del jazz. L’uso di piccoli ensemble di musicisti classici al posto di un’intera orchestra, lascia più spazio alla leggerezza, alla dinamica e alla natura rock delle canzoni. Poetica e soave, quasi elegiaca, “We Took the Wrong Step Years Ago”, fondata sul ritmo “Flying Doctor” con quell’andatura tra jazz manouche e swing, mentre “PSI Power” è ribattezzata “Psychic Power” ed è una leggiadra espressione della band, supportata da pregevoli interventi di Batt. La pacata, epica e spaziale “The Age of the Micro Man” è introdotta da “Hymn to the Sun”, strumentale con acustica, strumento spesso centrale in questo album, synth e orchestrazione. “Quark, Strangeness and Charm” ripropone quell’aspetto pop del brano attraverso un clima da ‘fiesta’. Sazia questo lavoro? Più che altro affascina. Chi scrive lo ha ascoltato la prima volta nel silenzio di un mattino nascente e ogni arrangiamento, variazione, linea vocale, ha preso ad aleggiare nella testa senza andare via. Ogni alba, da quel giorno, è un nuovo orizzonte nell’universo Hawkwind.

(Alberto Vitale) Voto: 9/10