(Iron Bonehead Productions) Ottavo disco per i tedeschi Horn, la pagan one man black metal band ideata da Nerrath. Un album che dopo tre anni fa seguito all’ottimo “Turm am Hang” (recensione qui), restando fedele agli ideali, sempre con il cantato in lingua madre, sempre corredato da strumenti etnici, sempre ricco di linee vocali suggestive e corali oltre all’immancabile possente e tuonante growl. Ancora una volta tanto medioevo, tanto folk, ma una direzione ferocemente metal la quale risale anche agli albori del genere. Dopo la lunghissima introduzione a base di violoncello intitolata “Einleitung – Der Wettlauf zum Meer”, è “Satt scheint der Sud der Tat” che si impone guerrafondaia, epica, pregna di componenti etniche e leggendarie. Radici di metallo puro con “De står her somsletta”. Oscure, gloriose e pesanti “Wär nicht Traubhagel” e “Wär nicht Traubhagel”, quest’ultima capace di incalzare offrendo desideri di gloria, un brano per essere oggetto dei più richiesti canti a corte. Divagazioni folk-prog su “Handkreis und Chor”, introspezione con “Upstream Canals, a Ship’s Bell Sounds”. Epoche mitologiche con la suggestiva “Dulcimerstück”, la quale conduce verso la sete di sangue di “Vom Tribock hohl geschossen”, brano più diretto, più cattivo, sempre tecnico ma decisamente scritto pensando solo al black. Coinvolgente “Ødegård und Pendelschlag”, prima dei favolosi violoncelli della conclusiva “Die mit dem Bogen auf dem Kreuz” (dal precedente album), qui proposta in versione strumentale. Black. Questo è davvero black. Chiamatelo pagan, chiamatelo quel che volete, ma in questi cinquanta minuti vive e domina l’essenza de genere, quell’essenza che diventò il canto di battaglia di bands quali i Windir.

(Luca Zakk) Voto: 8/10