(Nuclear Blast Records) Finalmente! Ricorderete che i Paradise Lost iniziarono a cambiare direzione con il favoloso “One Second” del 1997, un disco che iniettava una certa quantità di elettronica, di beat computerizzati… rompendo con il precedente “Draconian Times” (il quale, se si osserva bene, era semplicemente un altro passo avanti lungo percorso che non si è ancora concluso). Dopo “One Second”, venne “Host”: un immenso capolavoro di musica dark wave, di malinconia resa elettronica, un favoloso disco nel quale i synth occupano un posto molto più ampio di qualsiasi sei corde. Era il 1999, si gridò al tradimento! Come? Questa band gothic doom che in passato pestava duro sulle chitarre e travolgeva con un growl lacerante, si metteva ora a fare canzoncine per video clip anni ’80? Eppure, chi vi scrive, ha sempre adorato quell’album, proprio come il seguente “Believe in Nothing”, il quale ritornava timidamente a far suonare le chitarre in primo piano. Anche se i Paradise Lost, durante la loro lunga carriera, si sono sempre divertiti a saltellare tra diversi punti di vista di tutto quello che è oscuro e malinconico, resta indubbio che il vero ed unico passo falso secondo i puristi, fu proprio “Host”. Bene, in onore di quel disco, Greg Mackintosh e Nick Holmes, sempre ben stabili nella band di Halifax dagli albori, hanno deciso di dare vita ad un progetto parallelo, chiamandolo proprio Host, nel quale farci entrare tutta quella musica che la loro vena creativa materializzò in quell’album di fine millennio. Atmosfere pesanti, sonorità decadenti, synth senza limite, linee vocali calde ma distaccate. Sognanti “Wretched Soul” e ”Hiding From Tomorrow”, travolgente e trascinante ”Tomorrow’s Sky”, uno dei pezzi migliori del disco. Profonda ed introspettiva ”Divine Emotion”, uno dei brani più in linea con l’originale “Host”. Favolosamente catchy la bellissima ”A Troubled Mind”, oscurità resa sublime con le vibrazioni di ”My Only Escape”, poi esaltata nella decadenza con ”Years of Suspicion”. C’è pure del goth metal anni ’90 nella favolosa ”Inquisition”, trionfale e marziale “Instinct”, immensa e ammaliante la conclusiva “I Ran”. Oggi, a quasi venticinque anni di distanza e con venticinque anni di esperienza in più sulle spalle, questo “IX” suona sicuramente grandioso, anche se non può superare l’impatto sonoro e mediatico di quell’iconico disco del 1999. Tuttavia “IX” non delude, provoca, stuzzica, non nasconde la chitarra, si inoltra in tenebre sensuali, lascia libertà espressiva alla voce di Nick, perfetta per questo genere. Con un punto di vista attuale, “IX” è una brillante rivisitazione di un favoloso synth rock anni ’80 e ’90. Qualcuno, sicuramente, si chiederà il perché di questo albume, secondo me la risposta appare facile: Greg e Nick sono artisti, due grandi artisti i quali dovevano togliersi un peso, lasciando sfogare questo loro enorme gusto creativo. Mi rimane solo il dubbio del titolo. Perché “IX”? Perché il numero 9? A me piace pensare ad un ulteriore tributo a “Host”: dopotutto, contando anche i due EP del 1994, “Host” fu la nona uscita discografica dei Paradise Lost!

(Luca Zakk) Voto: 9/10